In queste ore le comunità GLBT sono divise sul Pride del 9 giugno. Da una parte ci sono coloro che chiedono di ridimensionare il Pride, di spostarlo o di annullarlo. Dall’altra, invece, spesso accusando di ipocrisia gli altri, coloro che hanno lavorato duramente per la manifestazione e che vogliono che si svolga magari cercando il modo di far passare il concetto che il Pride di Bologna sarà fatto in modo tale da comunicare vicinanza alle vittime del terremoto.
È ovvio che non esiste mai un’unica verità e che, a parer mio, entrambe le parti hanno argomenti importanti.
Io provo a fare qualche riflessione molto personale perché è giusto che sia così.
Vorrei però dire una cosa, prima di proseguire, è non mi importa molto se susciterà polemiche o meno.
Ci sono molte associazioni GLBT la più importante è Arcigay, ci sono persone che lavorano e si danno da fare quotidianamente per lottare contro i pregiudizi, contro l’omofobia e contro il bullismo. Ci sono volontarie e volontari che stanno lavorando da mesi al Pride e alle iniziative collaterali.
Ma la comunità GLBT non è fatta solo dalle associazioni e il fatto che qualcuno non sia dentro le associazioni e, quindi, non segua le indicazioni o non si affianchi al lavoro delle volontarie e dei volontari, non significa che sia fuori dal mondo GLBT o non lotti per i diritti delle persone GLBT o, ancora, non si dia da fare per migliorare la situazione.
Lo dico perché ho letto, spesso con toni accesi, dichiarazioni che vanno da: “Basta con le riflessioni datevi da fare” (che può significare anche state zitti e allineatevi al pensiero di quella che viene definita “maggioranza”) ad altre che suonavano un po’ come: “Siamo a capo di questa cosa e decidiamo noi”. Il Pride, nessun Pride, ci sarebbe senza le persone che ci lavorano. Ma stiamo attenti a non peccare di superbia perché, alla fine, un Pride è fatto di persone che sfilano e ci mettono la faccia e se queste persone, poi, decidono di non andarci al Pride la macchina organizzativa può essere anche fortissima ma perde di significato.
Detto questo, giusto perché non mi piacciono i toni che escono dalle varie discussioni, posso dire che sono spaccato a metà sulla questione Pride a Bologna. Non è il problema Pride sì, Pride no. Metterla in questi termini è piuttosto riduttivo.
Comunque la si voglia mettere il Pride suscita sempre molte polemiche. Il 4 giugno ci sarà una giornata di lutto nazionale, il 9 il Pride. Possiamo fregarcene di quello che dirà l’opinione pubblica (dopotutto alle critiche anche violente ci siamo abituati) ma credo sia importante prepararci a una pioggia di fuoco (anche di “amici”). So che il Pride è un momento importante della nostra storia, so che, anche se molti la pensano diversamente, il Pride non è una festa ma un momento di aggregazione e rivendicazione. Proporre un Pride diverso, a mio avviso, è impossibile. Il Pride è fatto da tante e diverse meravigliose realtà, i fotografi e i giornalisti sarebbero comunque addosso anche all’unica maschera presente alla sfilata. Non facciamo gli ingenui sappiamo che è così. Possiamo scegliere, come ho già detto, di fregarcene di questo aspetto. Rimane il fatto che portare tanta gente a Bologna, in questo momento, forse è anche un po’ da incoscienti. Non sappiamo quanto durerà il problema delle scosse, non sappiamo se i terremoti porteranno altri danni. Speriamo di no. “Allora” mi è stato detto “secondo la tua logica non si dovrebbe fare più niente”. La mia domanda è: “Dobbiamo farlo per forza a Bologna?”
Ok la macchina dei preparativi è in funzione da settimane, si è investito molto, umanamente parlando, su questo Pride. Io vorrei portarci mia nipote, primo Pride della sua vita, una giornata importante per tutti e due.
Ma i dubbi rimangono e sono dubbi sia pratici che etici.
Fosse per me annullerei anche la parata del 2 giugno.
Il comitato del Pride è già al lavoro, troveranno sicuramente una soluzione ottimale. Io non sono dentro arcigay e non sono dentro il comitato, parlo da esterno, le mie sono solo riflessioni. Vogliamo fare il Pride? Facciamolo ma troviamo davvero il modo di proporre un segno di speranza, di far vedere che il Pride è dedicato alle vittime del terremoto, che siamo non vicini ma “nella” popolazioni. Abbandoniamo le idee populiste di andare nei luoghi del terremoto con pale e picconi, le cose non funzionano così, occorre avere formazione ed essere esperti per aiutare altrimenti si è un ostacolo e basta.
Però, vi prego, non mettiamoci sempre sul piedistallo, non pensiamo sempre che una riflessione sia un attacco, smettiamola di pensare che è sempre o tutto nero o tutto bianco, che si è o a favore o contro.
Smettiamola, soprattutto, di leggere ogni parola come un atto di ostilità.
Un po’ di umiltà non ha mai fatto male a nessuno.
Marino Buzzi
Magazine Opinioni
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