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Riflessioni crepuscolari

Creato il 02 aprile 2012 da Cultura Salentina
Riflessioni crepuscolari

Pasquale Urso: Nudo (Acquaforte, 1968)

La primavera batte le delicate nocche sull’uscio di un inverno sempre più breve e sempre più strano. Cammino assorto e solitario sulla sabbia nerastra e sui ciottoli levigati della piccola insenatura di Porto Badisco. Procedo lento. Mi precede l’ombra dei miei pensieri, che marciano a passo spedito. La mente vola nello spazio (verso il Nord), e nel tempo (verso il passato). Verso un’altra spiaggia, un altro mare, una lunga, interminabile distesa al confine con la Romagna. E il sibilo del treno in parallelo…

Ero arrivato in treno. L’avevo intravista dal finestrino intriso di nebbia con quel suo buffo copricapo di lana. Un’immagine antica. Un regalo della nonna, credo, lavorato ai ferri. Un sorriso smagliante e un’immagine nuova. Un regalo del Cielo, credo, un dono del Creatore. Una rapida fuga in quella sua minuscola automobile gialla. Un’allegra macchia di colore a penetrare il triste grigiore di un inverno tutt’altro che rassegnato a cedere il passo. Il suo bel visino serio serio, tutto concentrato sull’asfalto. L’esplosione del suo disarmante sorriso, a tratti, dedicato a me, solo a me, mi trapassava come una freccia appuntita. Un’emozione intensa. Il mio cuore in tumulto. Un castello merlato da fiaba arroccato su uno scosceso dirupo, quasi proteso sul mare. La striscia bianca discontinua sull’asfalto scandiva gli istanti che ci separavano dalla meta.

Una breve fermata in un bar per un rapido caffè.
La meta. Due corpi vicini. Carezze e sorrisi. Una melodia celeste.
Cena al lume di candela. Grigliata di carne al sangue: nessuna indulgenza alla poesia. Due sguardi complici si incrociavano, rincorrendosi. Caffè sorbito in fretta.
Due corpi vicini. Carezze e sorrisi. E non solo. In un crescendo rossiniano.
Una notte intera con Morfeo in castigo.
Le prime luci dell’alba. Un breve riposo dei corpi. E della mente…

Cappuccino e cornetto. Fetta biscottata intrisa di miele millefiori. Caffè.
Due corpi vicini. Carezze e sorrisi. Ripresa della melodia celeste.
Pranzo: accurata scelta del tavolo più appartato, con vista sul mare. Un primo gustoso. Bisogno di zuccheri. Frutta e dessert. Breve indulgenza alla poesia. E due sguardi complici che riprendevano ad incrociarsi, rincorrendosi come due bimbi sul prato. Caffè sorbito in fretta.
Due corpi vicini. Carezze e sorrisi. E non solo. In un crescendo rossiniano.
Un ciclo interminabile, sempre uguale, ma tutt’altro che stucchevole.
Festa dei sensi. Lo spirito in esilio.

Il quarto giorno prese a piovere. Le tipiche, melense lacrime dell’addio.
Il ritorno in treno, in dormiveglia, senza pensare a nulla.
Quasi vent’anni da quei giorni. Un pensiero sortito dal nulla: il suo sorriso. Non ricordo quasi nulla del suo corpo; ma mi tornano chiari alla mente i suoi sogni. Le isole della Croazia. Le “Nuvole” di Aristofane. Il volo elicoidale dei gabbiani. Il dialogo sul dualismo manicheo congenito e immanente nell’uomo (e nella donna). Il suo sorriso spontaneo e suadente.
Il fuoco ormonale della maturità mi aveva obnubilato la mente. Nascosto la vera essenza. I giovanili (meglio, infantili) epidermici entusiasmi mi avevano impedito di percepire l’evidenza.
Non ero riuscito, quando potevo, a nutrirmi della sua anima e girovago, oggi, come un ectoplasma, intorno al giardino metafisico delle mie urne cinerarie, dove l’unico suono è il vento.

Ho avvertito forte la necessità di dirle quello che ho provato, ma che non riuscivo a decodificare.
Gioco un contratto tirato: 4 cuori, con venti punti e nove atout. Il nodo del contratto è, come spesso accade, la dama d’atout. Metto a terra l’asso e cerco poi di catturare la regina lasciando girando una piccola per il fante. La dama di cuori compare irridente sull’uscio e mi pugnala.
Guardo le stelle, sconvolto da un’angosciosa sensazione di abissale disfatta: la mia amara Waterloo si materializza in un corretto: “La regina di cuori era lì, a tua completa disposizione.”, seguito da un laconico: “Era semplice, ma a te non bastava. Volevi strafare. Avevi deciso di catturarla irridendola, come una preda predestinata in un agguato… E lei ti ha punito!”…

Pleonastico, urente, lancinante. Come una fiamma viva su una ferita da sempre aperta…
Le lucide urne, ancora vuote, mi attendono. Sto arrivando!..
Passi stanchi e lenti sopra una splendida spiaggia, oggi grigia, del Salento, dove si giace lo scheletro immobile d’un vecchio glorioso gozzo da pesca, oggi inutile fasciame. Dove soffia il maestrale e le argentate nubi all’orizzonte si rincorrono lente e maestose…
Che vuoi che sia la morte?

Un imenottero che si fa strada tra la sabbia sferzata dal vento.
Una luce che si allontana.
Un manto nero che s’avvicina e mi si accosta: prego, s’accomodi!
Affido a questa bottiglia telematica un insolito messaggio d’amore; d’un amore impossibile, perciò immenso.
Ma pur ridotto a inutile fasciame, osservo la fine in fiducioso silenzio… Perché so di sopravvivere: questo lo sento, senza forse poter levare mai più lo sguardo verso il cielo. Non importa. Certune sensazioni è meglio tenerle silenti.
Scusami, perciò, se ho osato esternare qualcosa che non è in grado di vivere, perché respira, questo sì, e le batte il cuore, ma non avverte l’attesa emozione di ritorno.
E mentre tu, certamente, con la tua suadente presenza hai rallegrato la vita di quell’uomo fortunato che ti vive accanto, la luce della speranza, accesa dal tuo dolce sorriso, timidamente nascosto dietro una distesa di gracili steli di fiori di campo fruscianti al vento, si spegnerà per me, così, lentamente, come un informe mozzico di candela.


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