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Riflessioni dannunziane

Creato il 15 dicembre 2011 da Cultura Salentina

di Leandro Ghinelli

Riflessioni dannunziane

Gabriele d'Annunzio

Quanto è moderno e intenso questo passo del Trionfo della morte di Gabriele D’Annunzio:

Egli [Giorgio Aurispa protagonista] si sentiva schiacciare dalla universale stupidezza, e lo spettacolo della folla gli moveva il fiele. Talvolta, dopo una qualche accelerazione straordinaria della sua vita passionale, egli cadeva in una specie di paralisi psichica il cui sintomo primo era una incuranza profonda di ogni cosa, una indifferenza peggiore della più acuta sensibilità; che durava molti giorni, intere settimane. Talvolta, un pensiero l’occupava, unico, assiduo: il pensiero della morte. E allora tutte le impressioni passavano sul suo spirito come gocce d’acqua su una lastra rovente, o rimbalzando, o dissolvendosi.

(Prose, Garzanti, Milano 1983, p. 161)

In questo brano limpido e sincero (c’è certamente dell’autobiografico) il D’Annunzio rivela qualcosa che il poeta eroico, l’oratore infiammato potrebbero velare: un certo senso di vanità di tanti entusiasmi. Anche i suoi vari amori si leggono in chiave diversa, se si ricordano altre parole della stessa Opera:

Egli [G. Aurispa] sapeva bene che l’amore è la più grande fra le tristezze umane, perché è il supremo sforzo che l’uomo tenta per uscire dalla solitudine del suo essere interno: sforzo come tutti gli altri inutile.

(Idem, p. 159)

Riflessioni dannunziane

Gabriele d'Annunzio

Parole che smorzano molto quell’enfasi vitalistica che nel poeta, in tanti momenti della sua vita e delle sue opere, sembra prevalere. L’individuo è barriera per l’altro individuo. L’amore permette breve osmosi, ma l’unione sembra reale solo nella fase del massimo innamoramento, poi la barriera riemerge, si rafforza, e l’individuo comprende che la Natura s’è servita dell’amore per un fine ben diverso (trasmissione della vita) da quello che ogni singolo sogna come ideale vittoriosa realizzazione personale. L’illusione degli innamorati è come il vapore delle pentole: è una conseguenza del bollire, non è il fine del bollire, e sfuma presto o tardi, lasciando nella solitudine… il bollito. E continua il narratore:

Ma egli [Aurispa] tendeva all’amore con invincibile trasporto. Sapeva bene che l’amore, essendo un fenomeno, è la “figura passeggera”, è ciò che si trasforma perennemente. Ma egli aspirava alla perpetuità dell’amore, a un amore che riempisse una intera esistenza.

(Idem, p. 160)

Quale esistenza?

La più convincente risposta ce l’ha data Dante, trasferendo l’amore perpetuo nell’Eternità come guida all’Amore perfetto del Creatore.


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