Riflessioni del dottor Babbarabbà sul buonsenso
29 dicembre 2012 di Pierluigi Camboa
Nikolai Bogdanov Belsky (1868-1945): Il giorno delle ammissioni (Olio su tela)
Presentazione
Ho tenuto questo “file” incompleto per mesi e mesi nel mio PC, miseramente abbandonato nella polverosa mediateca delle mie idee fuggiasche, quelle che, per prudenza, sarebbe meglio tenere segregate per sempre nelle umide e gelide prigioni dei recessi della mente, per evitare che se ne vadano a far danni in lungo e in largo. Devo però precisare che l’idea di base era tutt’altro che negativa, anzi apprezzabile, perché parlare del buon senso mi era parsa da subito cosa buona e giusta; quello che avrei voluto evitare (ma la mia mente compulsiva non mi ha dato scampo) era invece arrivare a proporre a ciascuno degli amici di Cultura Salentina di partecipare direttamente alla stesura conclusiva dell’articolo, fornendo il proprio contributo sulla definizione (concettuale e pratica) del buonsenso e sui motivi profondi delle tante sconfitte del buon senso illustrate negli esempi proposti dal lavoro. Alle soglie del Natale, che ispira i buoni sentimenti, ho deciso alla fine di rispolverare il vecchio file e di proporre agli amici questo interessante (spero) esperimento di lavoro d’equipe; confido perciò nella vostra comprensione (per l’ennesimo irrefrenabile attacco di narcisismo patologico) e nella vostra collaborazione (per la buona riuscita dell’esperimento). Premessa Ci sono temi di discussione che, per essere correttamente impostati, devono essere inseriti in un preciso contesto logico, storico-culturale e spazio-temporale; neppure il tema del “buon senso” (o “buonsenso”, di seguito b.) sfugge all’obbligo di questo inquadramento, a meno che non si abbia voglia di adagiarsi sul comodo sofà delle dissertazioni sofistiche. Vedremo, perciò, di fare precisi riferimenti alla realtà basandoci su fatti di cronaca quotidiana ed eventi storici, oltre che sulle sacre scritture e sulle leggende della mitologia. Ciò appurato, vorrei precisare che discutere sul concetto di b. è impresa ardua, dato che, sin dalla notte dei tempi, migliaia di filosofi e di cultori di varie discipline del sapere hanno acceso furiose dispute sul tema, ma quasi mai con risultati apprezzabili; sarà perciò nostro preciso impegno impostare accuratamente e fin dalle sue radici il discorso sul b., al fine di tentare di edificare una “instauratio magna ab imis fundamentis”. Sulla base di queste premesse, cominciamo ad inquadrare bene il concetto di b., partendo da un’arguta riflessione del grande scrittore di fantascienza polacco Stanislaw Jerzy Lec, il quale, nel suo splendido florilegio di aforismi dal titolo “Pensieri spettinati”, esprime una brillante idea sul b., che sarebbe estremamente utile ai governanti italiani ed europei in questa lunga fase di grave crisi economica pandemica: “Non si deve cominciare a risparmiare riducendo la quantità di buon senso”. La riflessione di Jerzy Lec non è solo arguta, perché rappresenta anzi un insegnamento etico, politico, culturale, economico e sociale di straordinaria valenza, dato che i tutti i policy maker (e i decision maker in generale) del pianeta dovrebbero sempre investire sul b., che esiste (e sarebbe anche facilmente accessibile e disponibile per tutti gli esseri umani nella realtà quotidiana), ma, come dice il buon Alessandro Manzoni: “Il buon senso c’era, ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune”. Inquadramento del concetto di buonsenso Come si è detto in sede di premessa, il concetto di b. è stato da sempre oggetto di accese dispute tra le menti più illuminate del genere umano: migliaia di filosofi, filologi, letterati, sociologi e psicologi hanno discusso sul b., definendone contenuti e contorni più o meno precisi, in relazione allo specifico settore del sapere. Molti fanno sovrapporre e coincidere il b. con la saggezza, intesa come capacità di valutare in modo prudente ed equilibrato le varie opportunità, optando per quella più corretta e proficua, secondo la ragione e l’esperienza. Peraltro, se decidessimo di far coincidere il concetto di b. con la saggezza, la sua definizione sarebbe quella di “capacità di fare il miglior uso possibile della conoscenza che si ha a disposizione, scegliendo di volta in volta ciò che, valutato a lungo termine, possa ottenere l’approvazione di un buon numero di persone”; in tal modo, però, ci lasceremmo coinvolgere dall’opinione popolare corrente, che in genere attribuisce la dote della saggezza alle persone più anziane, in virtù della loro prudenza e maggiore esperienza di vita. In altri termini, correremmo il doppio rischio di considerare, da un lato, il b. sempre e comunque come una capacità acquisita con l’esperienza (e non come una virtù innata) e, dall’altro, di escludere aprioristicamente, dalla capacità di essere dotati di b., i bambini, che invece dimostrano di saper adottare scelte corrette e giudiziose molto più spesso rispetto a tanti adulti. La definizione di b., pur se intuitiva, pone, nella pratica, notevoli problemi, sebbene si possa riconoscere al b. una caratteristica costante: il suo legame indissolubile con la ragionevolezza, espressa come capacità dell’essere umano di adottare la decisione migliore trovandosi di fronte ad una scelta dicotomica, duale, in un sistema semplice, caratterizzato dalla presenza di una sola variabile di sistema, analogamente a quanto si verifica nelle equazioni algebriche di primo grado. L’importanza del legame con la ragionevolezza è dimostrata dal fatto che comunemente si usa definire un individuo dotato di b. come persona “ragionevole e giudiziosa”. I principali dizionari della lingua italiana definiscono il b. come una particolare facoltà naturale dell’individuo che si esprime nella capacità di ben valutare le situazioni e di riuscire ad operare, di conseguenza, la scelta migliore fra varie opzioni possibili; in tal senso, il grande Dizionario dell’Enciclopedia Treccani definisce il b. come la “capacità naturale, istintiva, di giudicare rettamente, soprattutto in vista delle necessità pratiche”, mentre per il Dizionario Hoepli il b. è la “capacità naturale dell’individuo di valutare e distinguere il logico dall’illogico, l’opportuno dall’inopportuno, e di comportarsi in modo giusto, saggio”; il Dizionario Zingarelli (ed. 2005), invece, tende ad “oggettivare” il concetto di b., che è definito come “capacità di giudicare e comportarsi con saggezza, senso della misura ed equilibrio”. Mi piace sottolineare il fatto, comunque, che in tutti i dizionari della lingua italiana, accanto alla locuzione “buon senso”, che associa un aggettivo e un sostantivo, esiste anche la forma sintetica di lemma unico, il “buonsenso”, la cui genesi probabilmente deve essere fatta risalire ad un auspicio dei filologi e dei filosofi più ottimisti di vedere un giorno trionfar la ragione, con l’intera umanità (ma con i governanti, in particolare) finalmente in grado di giudicare le situazioni in modo avveduto e, come naturale conseguenza, di adottare scelte ed azioni in grado di produrre una massimizzazione dei vantaggi non solo per il singolo individuo, ma anche per la collettività, privilegiando sempre le persone e le popolazioni più fragili. A questo punto, si pone la necessità di dare una risposta alla seguente domanda: “Il b. è una qualità innata o viene acquisita con l’esperienza?”. La risposta non è semplice, perché se è vero che alla base del b. sussiste probabilmente una predisposizione innata, esso si estrinseca e si perfeziona, però, con l’esperienza; in altri termini, il b. è una capacità complessa, frutto di un’attitudine congenita a saper valutare con raziocinio e giudizio, ma anche della capacità di assorbire il sapere che si acquisisce con l’osservazione, con la pratica e con l’esperienza. Per questo motivo, con l’andar del tempo, possiamo diventare sempre più dotati di b. (o, meglio, della capacità di esprimerlo), ma ci vuole molta umiltà per imparare dai nostri errori. In realtà, oltre alla predisposizione naturale al b., deve coesistere anche una buona disponibilità anche al suo miglioramento, dato che alcuni importanti esempi della storia ci dimostrano che aver un buon maestro di b. è condizione necessaria, ma non sufficiente, per il suo miglioramento: basti pensare al caso emblematico della follia pantoclastica di Nerone, che pur ebbe come precettore uno dei filosofi più illuminati della storia, il grande Seneca. Tutto ciò premesso ed acquisito, cerchiamo ora di proiettarci dal mondo “metafisico” delle idee a quello “reale” della sperimentazione diretta sul campo, con l’obiettivo di coinvolgere tutti gli amici di Cultura Salentina nella ricerca di una definizione comune del b. in base ai rispettivi differenti punti di vista; a tal fine, ho esplorato Internet in lungo e in largo ed avendo trovato, sul sito di Yahoo! Answers, un forum assai frequentato, nel quale si discute ormai da anni sul b., ho estrapolato alcune definizioni “ruspanti”, una piccola parte delle quali erano anonime, ma moltissime erano regolarmente “firmate”, con tanto di “nick”, spesso pittoresco, dell’autore e relativo anno di “postaggio”. 1. Il b. è l’abilità di stimare o di agire con prudenza ed equilibrio, con razionalità e giustezza; in altri termini, il b. è il comportamento finalizzato a favorire la sopravvivenza del maggior numero di persone possibile e dell’ambiente (animali, piante, oggetti…); 2. Il b. è la “capacità di giudicare e comportarsi con saggezza, il risultato di un ragionamento logico”. Il b. sottintende la facoltà di decidere in modo intelligente ed ovviamente chiama in causa la facoltà di pensare; peraltro, il b. è un bene ancora molto raro nel mondo odierno, poiché molti preferiscono lasciare gli altri a pensare per loro, permettendo che siano i mezzi di informazione, i colleghi o l’opinione comune a decidere per loro: Costoro ritengono che pensare sia faticoso e si adagiano nelle leggi o in quel che dice la televisione, i giornali o le riviste senza riflettere, omettendo di pensare, fino a perderne la capacità; 3. Nel campo della salute, il b. la capacità di prendersi cura del nostro corpo, mantenendoci attivi, per vivere meglio e più a lungo; 4. Il b. è la capacità di trovare un ragionevole equilibrio che ci permette di fare quanto è necessario senza perdere la gioia; 5. Il b. non è una prigione. È avvicinarsi ai desideri con l’intenzione di fare meno danni possibili (Mary, 2008); 6. Il b. è qualcosa che aiuta a mettere a freno l’istinto, quando prevale il desiderio di qualcosa che però può essere dannoso; in altri termini, il b. è un istinto un po’ più perfezionato e ti aiuta in quei momenti un po’ fuori fase, quando sei condizionato dagli altri (Nutellina, 2008); 7. Il b. è l’innata capacità di identificare ed utilizzare la strada più razionale, per compiere qualcosa le cui regole sono assenti, non sono state ben definite e codificate o risultano poco chiare (R37/Irritante, 2012); 8. Il b. è la capacità di non rendere difficile il facile attraverso l’inutile (La Si, 2012); A questo punto, mi piacerebbe tanto che anche gli amici di Cultura Salentina esprimessero, in sede di commento (spero benevolo) a questo articolo, il proprio punto di vista sul b., al fine di verificare eventuali analogie e differenze di inquadramento. Un altro punto sul quale chiedo agli amici di Cultura Salentina di pronunciarsi riguardo alcune argomentazioni contro l’esistenza di Dio dell’esponente più radicale del materialismo e dello scetticismo nel mondo dell’Illuminismo enciclopedico, Paul Thiry barone d’Holbach, il quale, nella sua opera dal titolo “Il buon senso” articola, in 206 paragrafi, il ruolo fondamentale del b. nel rintuzzare l’arroganza e nel ridicolizzare le pretese totalitarie d’una pseudo-scienza qual è, a suo parere, la teologia: “Un’impostura sedicente filosofica abilmente creata dai religionisti per mascherare e legittimare i perenni, criminali inganni del potere”. In particolare, voglio porre all’attenzione dei lettori due paragrafi (sul totale dei 206 dell’opera), sui quali discutere insieme: Paragrafo 42. L’esistenza dell’uomo non dimostra affatto l’esistenza di Dio. [...] L’intelligenza dell’uomo non dimostra l’intelligenza di Dio più di quanto la malvagità dell’uomo non dimostri la malvagità di quel Dio, di cui si pretende che l’uomo sia una creatura. Da qualsiasi lato la teologia affronti la questione, Dio sarà sempre una causa contraddetta dai suoi effetti. Paragrafo 138. La fede si radica solo in spiriti deboli, ignoranti o pigri. La fede supplisce alla debolezza dell’intelletto umano, per il quale la riflessione è, di solito, un lavoro assai penoso; è molto più comodo rimettersi al parere di altri, anziché indagare personalmente [...] ecco, certamente i motivi per cui la fede trova tanti fautori sulla terra.[...] Una profonda ignoranza, una credulità senza limiti, un cervello molto debole, un’immaginazione sovreccitata: ecco gli ingredienti con i quali si fabbricano i devoti, gli zelanti, i fanatici ed i santi. Il mio commento? Personalmente, credo che non sia giusto confutare i dogmi con altri dogmi, verità assolute con altre verità assolute. Credere all’esistenza di Dio è un atto di fede, che si ha o non si ha. Qualsiasi tentativo di arrivarci con la ragione (ma anche di confutarlo con la ragione) è errato e fuorviante. Dogmi e teoremi lasciamoli riposare. L’unica cosa che invece mi preme dire, se non altro per essere coerente con il tema trattato, è questa (e voglio sottolinearne l’importanza inserendola tra virgolette): “I credenti devono essere tolleranti con gli atei, allo stesso modo di come gli atei devono essere tolleranti con i credenti”. I vantaggi prodotti dal buonsenso Il b. è uno straordinario “adattogeno”, cioè un preziosissimo strumento attraverso il quale un individuo è in grado di mantenere una situazione di equilibrio rispetto alle noxae nocive esterne, rendendo la vita (propria e degli altri) più semplice, oltre a risparmiare risorse, compreso il tempo; infatti, il b. si può esprimere come la capacità di risolvere i problemi quotidiani più facilmente e più rapidamente rispetto a quando ci facciamo prendere dall’ansia da prestazione, dalla rabbia, dalle antipatie o da altri sentimenti fuorvianti. Attraverso il b., si riesce, inoltre, ad operare un’analisi accurata della realtà che ci circonda o di una particolare situazione che si sta affrontando, imparando a valutare le informazioni raccolte ed a trarne le giuste conclusioni, che ci aiutano a porre in essere la scelta decisionale più corretta ed adeguata. Un paio di esempi dell’eccezionale utilità pratica del b. sono la leggendaria decisione salomonica e la sentenza assunta attraverso una decisione aleatoria da parte di un giudice di Trento. Il giudizio di Salomone Il primo esempio di b. ci riporta alla biblica, leggendaria saggezza di Salomone, il terzo re di Israele, successore di Davide; il primo Libro dei re, infatti, ci offre un esempio significativo di b. come strumento per la soluzione illuminata di un problema complesso. Nel mondo antico era un fatto comune chiedere il giudizio del re, non esistendo l’attuale suddivisione tra potere legislativo e potere giudiziario; i regnanti, quindi, erano i giudici supremi a cui venivano sottoposti i casi più difficili e quello sottoposto al re d’Israele sembrava irrisolvibile. Due donne, Anna e Basemah, si erano presentate al cospetto di Salomone: ciascuna aveva partorito un figlio a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro ed entrambe dormivano nella stessa casa. Una notte, uno dei due bambini morì e ciascuna delle due donne accusava l’altra di aver scambiato il figlio morto con quello vivo durante il sonno. Salomone, dopo aver ascoltato le due donne sostenere più volte le loro tesi, fece portare una spada e ordinò che il bambino vivente fosse tagliato a metà per darne una parte a ciascuna di esse. Basemah si mostrò d’accordo con il giudizio dei re: “Va bene maestà, tagliatelo pure in due come avete detto”. “No, per pietà, no!”, disse invece Anna. “Piuttosto lasciate a lei il bambino, ma vi scongiuro, non uccidetelo!”. A quel punto Salomone non ebbe dubbi: “Date il bambino ad Anna: solo una madre che ama davvero il proprio figlio è disposta a separarsene, pur di lasciarlo in vita, mentre all’altra non importa nulla della vita del piccolo!”. La decisione aleatoria del giudice di Trento Le decisioni aleatorie sono quelle affidate al caso, che si prendono quando le due opzioni sono assolutamente equivalenti ed esistono reali e concrete situazioni di necessità e di urgenza. In tali circostanze, si può ricorrere persino al classico lancio della monetina, come nel caso di una singolare decisone assunta da un giudice di Trento; infatti, le pagine di cronaca del “Corriere della Sera” del 30 dicembre 2004 riportarono il seguente titolo: “Trento, genitori contro: il giudice fa testa o croce”. Nell’articolo, si legge: “Con la mamma o con il papà per le vacanze di Natale? Decide la monetina. «L’ho fatto nell’interesse del bambino – ha spiegato il giudice -. Legali e genitori non si mettevano d’accordo e non c’era tempo per riunire la camera di Consiglio. Così ho detto ai genitori di affidarsi al caso. Ho agito nell’interesse esclusivo del bambino». La fortuna ha arriso alla madre, che ha potuto così trascorrere il Natale con suo figlio”. La lapalissiana evidenza della straordinaria utilità prodotta dal b. porta alla conclusione che ciascun essere dotato del ben dell’intelletto dovrebbe impegnarsi al massimo per acquisirne l’abilità, ma la realtà dei fatti dimostra che il genere umano rifugge molto spesso dalla pratica di comportamenti assennati e tende anzi a praticare stili di vita del tutto incoerenti, oltre a lasciarsi guidare spesso dall’istinto; in altri termini, quindi, se nel genere umano il seme del b. avesse attecchito, la storia dell’umanità avrebbe avuto un decorso molto migliore e, probabilmente, in questo inizio di terzo millennio, anziché essere alle prese con una grave ed interminabile fase di crisi economica, con le stragi quotidiane del Medio Oriente, con il terrorismo internazionale e, permettetemi, con la stupidità tribale di chi, attraverso strampalati dogmi di pseudo-economia e pittoreschi riti pagani come quello delle ampolle ricolme delle sacre acque delle sorgenti del Po, intende rimarcare il diritto “divino” alla rigida divisione della società italiana tra i belli, ricchi, colti, sani e illuminati del Nord ed i poveri (brutti, sporchi, cattivi e mafiosi) del Meridione; ad onor del vero, però, questi fenomeni di cannibalismo tribale non possono essere ascritti in modo esclusivo alla Lega Nord, perché, spostandoci in una dimensione planetaria, ci accorgiamo che nessuno dei grandi potenti della Terra sembra voler operare realmente nella prospettiva di una più equa distribuzione delle risorse a livello mondiale… E si perpetuano, in questo modo, la dicotomia manichea tra il Nord e il Sud del pianeta, il neo-colonialismo, sia pur mascherato, del terzo millennio, le guerre sante (sante?) di religione ed altre centinaia e centinaia di nefandezze dell’umanità. Gli alleati ed i nemici del buonsenso Sarebbe cosa semplice per chiunque risolvere i problemi ordinari della vita quotidiana con un pizzico di b., ossia con un po’ di ragionevolezza e di giudizio; ciò, purtroppo, non si verifica che in minima parte, perché il b. deve lottare ogni giorno contro un’intera falange di nemici armati fino ai denti, sebbene, a sua volta, sia supportata da qualche ottimo alleato. Il nostro povero b. si trova, perciò, suo malgrado, inserito in un sistema complesso, nel quale interagiscono molteplici variabili, che si influenzano reciprocamente, fino a provocare sul b., in relazione alla prevalenza dell’una o dell’altra, un notevole rafforzamento o, all’opposto, il suo completo annullamento. Quali sono queste molteplici variabili del complesso sistema delle decisioni umane e quali sono, in particolare, rispettivamente, gli alleati e i nemici del b.? In una prospettiva dicotomica manichea, eccessivamente semplicistica e, come tale, incompleta e fuorviante, si tende a contrapporre il b. alla stupidità, il che, sotto certi aspetti è vero, ma non è in grado di esprimere sic et simpliciter tutti i meccanismi che portano alla negazione del b. nelle diverse situazioni. Non disponendo di tempo e spazio sufficiente per approfondire l’analisi di tutte le variabili in gioco nel sistema, si è deciso di proporre una sintetica suddivisione degli elementi favorevoli e di quelli contrari all’affermazione del b., trattandone sinteticamente i relativi contenuti. Le principali variabili positive sono: logica, raziocinio, senso pratico, coscienza etica. Le principali variabili negative sono: stupidità, egoismo con (annesso) istinto di sopraffazione, senso comune, luogo comune. Le variabili positive La logica è uno strumento del pensiero che aiuta il b. a separare i procedimenti mentali validi da quelli privi di significato o, comunque, non validi. Il raziocinio è un ulteriore strumento del pensiero che aiuta il b. a saper prevedere il presumibile impatto delle decisioni assunte, mediante l’analisi, la ragione e l’argomentazione. Il senso pratico è un’attitudine innata, ma migliorabile attraverso l’esperienza, che aiuta il b. a riuscire a raggiungere un obiettivo, anche in presenza di risorse scarse; inoltre, nelle situazioni di stress il senso pratico aiuta a risolvere i problemi che si presentano, senza girarci intorno. La coscienza etica aiuta il b. a saper riconoscere la differenza tra ciò che è bene e ciò che è male, scegliendo di conseguenza l’azione che è volta al benessere individuale e collettivo. Le variabili negative La stupidità umana ostacola il b., perché nega all’individuo la possibilità di utilizzare al meglio la logica e il raziocinio. In genere, la stupidità umana è una variabile sottostimata, ma nella realtà essa rappresenta un serio problema, sia perché avere al potere una persona stupida espone grandi masse a gravissimi rischi, sia perché i demagoghi carismatici riescono a sfruttare la stupidità a proprio vantaggio ed a trasformare gli stupidi da cittadini pacifici in masse assatanate. (Piccola nota a margine: vi fa venire in mente qualcuno, questa riflessione? A me questa storia del tribuno impomatato che ci toglierà via dalle palle l’odiosa gabella dell’IMU mi richiama i corsi e ricorsi di vichiana memoria, ma non riesco a ricordare di chi si possa trattare, anche se qualcosa mi dice che la vicenda si possa riferire ad un nefasto individuo mellifluo, untuoso, svenevole, di bassa statura morale e non solo morale, nonostante l’abituale nomina di ministri affetti da ipostaturalità grave e l’utilizzo di altissimi, sebbene ben dissimulati, soprattacchi). Chi è già cascato nell’infido tranello dell’impomatato, ricordi quel famoso detto latino, che recita così: “Cuiusvis hominis est errare; nullius, nisi insipientis, perseverare in errore”. L’egoismo, strettamente connesso con l’istinto di sopraffazione, tipico dell’homo homini lupus di Plauto e di Hobbes, ostacola il b., perché nega all’individuo, pur ancora in grado di riconoscere il bene dal male, la possibilità di operare scelte adeguate alla propria coscienza etica; in altri termini, la scelta decisionale non è finalizzata al benessere individuale e collettivo, ma solo al proprio tornaconto individuale, anche a costo di provocare gravissimi danni alla collettività. Il senso comune ostacola il b., perché tende a fuorviare l’individuo (e grandi masse di persone) trascinandoli nel suo sistema di convinzioni condivise (anche se quasi mai confortate da serie dimostrazioni scientifiche), con il risultato di condizionare nettamente le scelte di queste persone, che tendono ad investire una certa porzione di fiducia nelle suddette convinzioni condivise. Il luogo comune ostacola il b., perché si tratta di un’opinione o di un concetto la cui diffusione, ricorrenza o familiarità ne determinano l’ovvietà o l’immediata riconoscibilità, fino al punto di rappresentare una verità, nei confronti della quale l’individuo tende ad investire un certo grado di fiducia. Secondo il dottor Babbarabbà, il “luogo comune è un enorme spazio virtuale dove ogni giorno si ammassano tutti i rifiuti prodotti dal ciclo continuo del senso comune; nello stesso tempo è anche il cimitero nel quale ogni giorno vengono sepolti tutti i buoni propositi del buon senso” (da: “Gli strani aforismi del dottor Babbarabbà”, 2012). Nello splendore della mitologia greca, il principale eroe del b. è rappresentato da Prometeo, non a caso accostato, in una visione dicotomica manichea, al fratello stupido, quell’Epimeteo, la cui totale mancanza di b., unita alla fatale attrazione per la moglie Pandora, tanto bella quanto stolta, provocarono la diffusione di tutti i mali per l’avventata apertura di un vaso che avrebbe dovuto restare chiuso per sempre; solo la speranza, rimasta nel vaso richiuso, se pur tardivamente, da quel giorno sostenne gli uomini anche nei momenti di maggior scoraggiamento. La vicenda mitologica del vaso di Pandora richiama strettissime analogie con quella biblica del peccato originale di Adamo ed Eva, nel quale si ripete il fatale errore della disattenzione del divieto divino. Alcuni esempi di fallimento del buonsenso Siamo arrivati al paragrafo conclusivo del lavoro, rispetto al quale, torno a ripetere, gradirei tanto la collaborazione di tutti gli amici di Cultura Salentina. L’esempio filosofico paradigmatico di fallimento del buonsenso è il noto apologo conosciuto come il Paradosso dell’Asino di Buridano: “Un asino affamato e assetato si trova accovacciato esattamente alla stessa distanza tra due mucchi di fieno con, vicino a ognuno, un secchio d’acqua; poiché non c’è alcun motivo che lo determini ad andare da una parte piuttosto che dall’altra, non riesce a prendere alcuna decisione, per cui resta immobile e muore”. Se il povero asino di Buridano si fosse rivolto a quel tal giudice di Trento, probabilmente si sarebbe salvato con il semplice lancio di una monetina… O forse no, perché, in fondo, era un somaro. Gli esempi nei confronti dei quali vorrei avere il soccorso del vostro commento sono i seguenti: 1. Il fallimento della politica internazionale sull’ambiente: il protocollo di Kyoto, sottoscritto in data 11 dicembre 1997 da più di 160 Paesi, è entrato in vigore il 16 febbraio 2005, dopo la sua ratifica anche da parte della Russia, ma non ha prodotto gli effetti sperati per una serie di veti successivi che ne hanno bloccato la reale ed effettiva applicazione. Eppure, nonostante la mortificante evidenza, c’è persino chi si è dichiarato soddisfatto dei (non) risultati dei tanti vertici in materia: nel convegno di Copenhagen (dicembre 2009), ad esempio, non è stata nemmeno presa in considerazione la riduzione percentuale delle emissioni di gas serra da realizzare entro il 2050, eppure c’è chi sbandiera sorridente la grande conquista di una mera condivisione ideologica (ma solo teorica) della necessità di un impegno globale in questo difficile processo di “problem solving planetario”; ma, probabilmente, i veri motivi della soddisfazione espressa derivano dall’impegno comune delle tantissime centinaia di miliardi di dollari investiti per migliorare il livello tecnologico e, quindi, l’efficienza energetica dei Paesi in forte crescita economica (India, Cina, ecc.). 2. La dittatura della partitocrazia: è noto a tutti che lo strumento fondamentale attraverso il quale il cittadino è in grado di esercitare il controllo sulle decisioni politiche dei propri rappresentanti è quello della democrazia partecipativa, che essenzialmente consiste in una delega, un mandato affidato ad una persona alla quale si affidano le proprie aspettative. Qualsiasi processo di delega è anch’esso un processo decisionale e, come abbiamo detto, la decisione presume l’esercizio di un atto libero e volontario; ebbene, tale sacrosanto diritto di libera espressione di una volontà viene da tempo negato al cittadino italiano, perché i partiti (tutti, indistintamente) hanno deciso di blindare, attraverso il “porcellum”, gli ambiti scranni del potere, decidendo a monte l’elenco dei parlamentari certi, di quelli insicuri (leggi premio di maggioranza) e dei candidati “di riempimento” (o specchietti per le allodole). Al povero cittadino elettore, nonostante tutte le assicurazioni sulla modifica del porcellum spetta quindi ancor oggi il compito di trasformarsi in un mero mezzemaniche che deve solo apporre una croce su un simbolo, peraltro sempre più anonimo nonostante i vari tentativi di innovazione, alla guisa di un timbro postale di ratifica sulla “raccomandata con ricevuta di ritorno” delle scelte della partitocrazia. 3. I problemi irrisolti dei pazienti con malattie rare: il nostro sistema sanitario si basa sui LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), che consistono nelle prestazioni assistenziali rese in forma gratuita (o attraverso la partecipazione alla spesa da parte del cittadini) nei confronti dei problemi di salute più importanti e diffusi; ne consegue il fatto che per malattie importanti, ma non molto diffuse nella popolazione (come le cosiddette “malattie rare”) non esistono le medesime garanzie. Le conseguenze negative di una malattia rara sono quasi tutte a carico del malato e della sua famiglia, come nel caso della SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica), per la quale malattia molte prestazioni specialistiche sono a pagamento ed a carico dell’assistito, in particolare nelle regioni più povere; in molte di esse, infatti, restando nel caso della SLA, la sostituzione della cannula tracheale non è una prestazione eseguita in forma gratuita presso il domicilio del malato. Ne consegue che il paziente è costretto a scegliere tra due alternative: il ricorso (a proprie spese) ad uno specialista privato o ad un (penoso e, peraltro, assai gravoso, sul piano dei costi, per la stessa azienda sanitaria) ricovero ospedaliero. 4. La delazione degli immigrati extracomunitari: nel corso del 2009, in Italia si è molto parlato dell’abominevole provvedimento di legge che prevede la possibilità della segnalazione da parte dei medici alle forze dell’ordine degli immigrati extracomunitari non in regola con il permesso di soggiorno, che si recano presso un presidio sanitario per motivi di salute. Premesso che i promotori del provvedimento tentano, invano, di nascondere la vergogna, sottolineando il fatto che si tratta di una mera possibilità (e non di un obbligo assoluto) di segnalazione, in pratica, con l’approvazione del reato di immigrazione clandestina, i medici italiani, in quanto pubblici ufficiali, sono tenuti alla denuncia del reato, la cui omissione o ritardo comporta, quindi, il rischio di sanzioni penali. In realtà, indipendentemente dal rischio di sanzioni, il problema più grave è di sanità pubblica, dato che il ridotto ricorso dei cosiddetti “irregolari” ai servizi sanitari pubblici provoca, come effetti collaterali, lo sviluppo automatico di una sanità parallela gestita dalla criminalità organizzata, l’altissimo rischio della diffusione epidemica di malattie infettive e diffusive anche molto gravi (es. tubercolosi farmaco-resistente) e la terribile certezza di tante tantissime morti evitabili, come lo dimostrano, purtroppo, tanti esempi legati ad incidenti per interruzioni di gravidanza praticate in condizioni disumane… Guardando al famigerato codice alfanumerico X-01 che dovrebbe significare solo l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria, ma che, di fatto, è un vero e proprio marchio per tutti gli immigrati “irregolari”, da medico non posso che levare al cielo un (ennesimo) grido di dolore; ma poi taccio, ricordando quel tal “vuolsi così colà ove si puote ciò che si vuole e più non dimandare”. 5. Le decisioni “akrasiche” dei policy maker e dei decision maker della sanità pubblica: i comportamenti umani (e le relative decisioni) che si manifestano palesemente incoerenti (ed in contrasto) con il b. e con i comuni principi del vivere civile hanno, alla base, motivazioni che devono essere interpretate nel loro reale significato, non potendo essere ascrivibili solo ad una situazione di progressivo ed inarrestabile imbarbarimento della società ovvero di inaridimento collettivo delle coscienze; molto spesso, infatti, le cause di questi fenomeni sono riconducibili al concetto del comportamento “akrasico”, teorizzato da Aristotele (“Etica Nicomachea”, VII, 1145-1151), per spiegare la genesi del male (κακòς), cioè le cause del comportamento malvagio. Spieghiamo il concetto: akrasia (ακραςία) significa “non fare ciò che si sa di dover fare e fare, invece, ciò che non si dovrebbe fare”; in condizioni normali, chi ha chiari i propri obiettivi agisce di conseguenza; tuttavia, c’è chi, dominato dalle passioni e travolto dagli istinti, devia dalla logica e tende a seguire la via più facile e “diretta”. In realtà, la ragione comune, libera dal condizionamento di mere esercitazioni sofistiche, ci induce a vedere l’uomo come un soggetto libero e responsabile, in grado di esercitare una scelta ponderata tra più opzioni e di selezionare, quindi, quella che è obbiettivamente la migliore, non solo per l’intera collettività, ma a volte anche semplicemente per se stesso; eppure, in molti casi, l’uomo continua ad operare la scelta sbagliata (comportamento akrasico). Nel solco delle decisioni akrasiche possiamo certamente ricondurre le scelte dei policy maker e dei decision maker della sanità pubblica, che si ostinano a “salvare” tanti micro-ospedali, che rappresentano una vera e propria minaccia per la salute dei cittadini, invece di investire sulle Case della Salute e sui servizi integrati per la gestione globale delle malattie croniche, operazione che sarebbe senza dubbio molto più efficace ed economica. Ditemi voi che significato possa mai avere un reparto di gastroenterologia, nel quale si ricoverano anche pazienti a grave rischio di rottura massiva di varici esofagee, in un presidio ospedaliero privo di un servizio, non dico di rianimazione, ma almeno di anestesia H24. E ditemi, ancora: affidereste un vostro parente alle cure di un presidio così sotto-organizzato? E lo farebbero i vari politici demagoghi e capi-popolo che pur minacciano il mondo intero di sanguinose rivoluzioni, qualora quel tal reparto di gastroenterologia dovesse essere trasferito in altra, più idonea, sede? Ma il cannibalismo tribale quasi sempre ha il sopravvento sulla ragione e sul b., motivo per il quale, in fondo, è ogni giorno sempre più giusto l’aforisma che afferma che ogni popolo ha il governo che si merita.