RIFLESSIONI INGENUE SU DIO
Nell’ultimo seminario a Villa Vrindavana (Firenze 31 luglio 6 agosto), Marco Ferrini ha commentato il X e l’XI canto della Bhagavadgita, dove Arjuna riceve la conoscenza (leggi: fa esperienza) della magnificenza e dell’aspetto terrificante della Divinità. Nel commento di Matsyavatara, tra le innumerevoli riflessioni proposte, ho un preciso ricordo dell’immagine divina come un punto dal quale si diparte il creato e le creature.
Realizzando di non avere a che fare con un normale cugino, Arjuna chiede di vedere questa magnificenza di cui parla Krishna. Viene accontentato. Ma l’essere umano, sebbene dotato di una visione mistica e di ogni virtù come il nostro eroe, non può sopportare a lungo la visione della Divinità, Dante deve passare per centinaia di terzine prima di essere abbagliato dalla fugace visione di Dio! Terrorizzato, Arjuna chiede di uscire da questa visione che evidentemente non è solo slendida ed infinita, ma anche terrificante, così com’è l’avventura delle creature nel gioco universale.
Capisco Arjuna: in questa visione così graniticamente monoteista, se Dio è il meraviglioso Creatore e Sostenitore, è anche e contemporaneamente la morte che tutto porta via.
Per questo fin dall’inizio Krishna chiede al suo discepolo di abbandonarsi a Lui, di agire collegato al Divino e alla fine dell’XI canto, dopo lo stupore, la delizia ed il terrore provato da Arjuna, Krishna riassume l’insegnamento:
Non per mezzo della scienza sacra né con l’ascesi, né col dono, né col sacrificio io posso esser veduto come tu mi hai veduto, ma con l’amorosa, esclusiva devozione, o Arjuna, mi si può conoscere e vedere qual veramente sono e si può entrare dentro di me… chi per me agisce, chi per me prova amorosa devozione, chi è senza attaccamento, privo di ostilità nei confronti di tutti gli esseri, questi a me viene, o figlio di Pandu.
Sulla scacchiera dell’esistenza giocano la loro partita anche i pezzi neri e nessuno può dire quale sarà l’esito, nenache gli esseri più illuminati lo conoscono.
E noi, piccoli umani, accettiamo questo mistero.
Ma Dio conosce l’esito del gioco?
Se gli esseri dotati di libero arbitrio possono decidere le proprie mosse, neanche Chi sostiene il tutto può prevedere lo sviluppo del gioco!
Chi sostiene la scacchiera è onnipotente perché lascia alle innumerevoli pedine di organizzare liberamente la propria performance, oppure lo è perchè ha già predeterminato il gioco, ammesso che lo sia?
In che misura siamo dunque liberi?
Se tutto è Dio allora tutto è coscienza, immortalità e beatitudine, dalla particella sub atomica alla massa inamovibile dell’Himalaya, dal microbo all’essere umano; per l’elettrone consiste nel girare intorno al nucleo, nel cristallo è la perfetta geometria atomica, nell’animale è istintualità, nell’essere umano è tornare al proprio centro.
Krishna ci sta dicendo che possiamo realizzare l’amore per il Creatore attraverso l’amore per le creature perché l’intuizione mistica umana non può comprendere Dio in sé?
Francesco ci aveva avvisato di guardarci dal disprezzo del mondo praticato da Innocenzo III, lo stesso papa che riconosce la sua regola (laudato sie mi’ Signore cum tucte le tue creature… tue sono le laude la gloria e l’onore et onne benedictione et nullu omo ène digno te mentovare).
Arjuna ha visto l’aspetto immanente di Dio, non quello trascendente, come realizzerà allora la trascendenza?
… Se è vero che un insegnamento è tanto più efficace quante più domande fa sorgere, questi due capitoli ne sono una ricchissima miniera.
Graziano Rinaldi