Articolo di Irene Tinagli pubblicato su La Stampa del 13 giugno 2011
A giudicare dall’affluenza di ieri sembra altamente probabile che il quorum verrà raggiunto. In molti vi leggeranno una grande vittoria dell’opposizione, una nuova spallata al governo. Ma la vera vittoria è un’altra: una grande ritrovata voglia di partecipazione dei cittadini. Non si può infatti imputare una così alta affluenza solo a una vittoria dell’opposizione: se anche tutte le persone che alle ultime amministrative hanno votato per i partiti d’opposizione andassero a votare per il referendum, il quorum non verrebbe raggiunto. E’ quindi evidente che molte persone, anche tra quelle che continuano a supportare questo governo, hanno voluto dare un messaggio molto chiaro alla politica: ci siamo e vogliamo esserci. Vogliamo contare, vogliamo dire la nostra.Questo è un segnale più profondo e importante dei singoli quesiti referendari.Ed è evidentemente la reazione a una stagione politica che sistematicamente ha escluso i cittadini dalle proprie scelte e decisioni, una stagione in cui rappresentanti parlamentari hanno fatto e disfatto coalizioni, saltando con disinvoltura da uno schieramento all’altro, dichiarando e smentendo alleanze, lanciando proposte subito stravolte o rimesse nel cassetto a seconda della convenienza. Un comportamento che, come sottolineato da molti commentatori, è legato alla pessima legge elettorale che abbiamo, che non consente ai cittadini di scegliere i candidati che vogliono eleggere. Con questa legge, di fatto, deputati e senatori non rispondono più ai loro elettori, ma ai capi partito che decidono di candidarli (e se ricandidarli in futuro…).
Ma non ci scordiamo che la legge elettorale fornisce solo uno strumento: dà la facoltà ai partiti di scegliere i loro candidati, non li obbliga a sceglierli sulla base di clientelismi e vecchie logiche di fedeltà e interessi personali, né a «comprarli» e scambiarli come se fossero figurine. La degenerazione che ne è scaturita è colpa dell’irresponsabilità di tanti politici, un atteggiamento che ha infettato molti altri aspetti della nostra vita democratica anche al di là della legge elettorale. Basta pensare alla scelta delle priorità delle attività governative, che sistematicamente hanno privilegiato misure di tipo personalistico o propagandistico rimandando quanto più possibile misure urgenti per i cittadini e le imprese. O pensare a come il Parlamento sia stato spesso esautorato delle sue funzioni, il dibattito minimizzato, e molte decisioni importanti prese in fretta e furia nelle segrete stanze del potere, per poi essere magari cambiate in corso d’opera senza nemmeno prendersi la briga di dare spiegazioni plausibili. Tutta una serie di comportamenti che sembravano poggiare sull’inossidabile certezza, da parte di tanti politici, che tanto il «popolo bue» si accontenta di qualche chiacchiera generica, e magari non è nemmeno interessato. D’altronde è anche vero che negli anni scorsi svariate occasioni di partecipazione democratica sono state disertate da molti cittadini - incluso il referendum sulla legge elettorale del 2009 - così come numerosi casi di scandali tanto a destra quanto a sinistra non hanno provocato grosse rivolte nelle rispettive basi elettorali. E’ solo negli ultimi mesi che qualcosa è scattato negli italiani, forse stanati dal morso di una crisi che non accenna a passare. E’ scattata una voglia di riappropriarsi della vita democratica del Paese, ribellandosi all’attuale politica di entrambi gli schieramenti. Una ribellione che nel centrosinistra si è manifestata in modo più evidente negli esiti di molte primarie, mentre nel centrodestra la vediamo nei risultati delle ultime amministrative e nella decisione di molti elettori di partecipare al referendum nonostante la campagna astensionista di gran parte del governo.
Questo segnale è importante, e dovrebbe insegnare una lezione a tutti. Una lezione ai politici di entrambi gli schieramenti, che capiscano che non si può governare un Paese ignorando e snobbando i propri elettori. Ma anche una lezione per tutti i cittadini, soprattutto per quelli che per anni hanno seguito con noia e sonnolenza le vicende politiche italiane, disertando le urne quando decisioni importanti venivano prese, oppure fidandosi ciecamente dei politici che avevano votato, seguendoli come si fa con la squadra del cuore. La lezione che tutti quanti dovremmo imparare è che la soglia dell’attenzione dev’essere sempre alta, che la partecipazione democratica è qualcosa che va esercitato sempre, non solo quando stiamo per scivolare nel baratro o quando qualcosa comincia a toccarci personalmente. La partecipazione si coltiva ogni giorno: informandosi, ragionando, discutendo. E non solo nelle piazze, ma nelle case, nelle aziende, nelle scuole, nelle strade, mettendosi anche in gioco quando necessario e non solo facendo il tifo per o contro qualcun altro. Solo così una democrazia può mantenersi viva e rinnovarsi sempre, anche quando non siamo chiamati alle urne.
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