Riflettiamo bene su necessità e cambiamento

Creato il 10 settembre 2011 da Gadilu

Dell’intervento scritto da Michaela Biancofiore mercoledì scorso per questo giornale – intitolato “Terzo Statuto o Montecarlo” – mi ha colpito in particolare il richiamo esplicito, addirittura quasi allarmato, a uno stato di necessità: “La certezza che lo status quo non può essere mantenuto e che bisogna guardare avanti”. Cercando di argomentare la sua posizione, Biancofiore propone una serie di misure (o meglio di rivendicazioni) che ci fanno capire indirettamente in cosa consisterebbe questo stato di necessità. L’elenco è più o meno questo: gli italiani dell’Alto Adige sono limitati nel loro spazio decisionale e rappresentano una minoranza non riconosciuta, bisognosa di tutela; la proporzionale costituisce per loro uno svantaggio; il bilinguismo non è ancora garantito a sufficienza perché ciò sarebbe possibile soltanto introducendo una scuola paritetica bilingue, anzi trilingue (con l’aggiunta dell’inglese in chiave veicolare).

Non sarebbe difficile mostrare come l’approfondimento di ogni singola questione sollevata crei qui un paesaggio irto di contraddizioni. Basta prendere la richiesta di una maggiore tutela del gruppo linguistico italiano facendola giocare assieme a quella di una soppressione della proporzionale: siamo proprio sicuri che in un regime di “libera concorrenza”, fermo restando l’obbligo o comunque l’esigenza del bilinguismo, gli italiani uscirebbero dalla loro condizione di svantaggio (peraltro a questo proposito solo supposto)? Ed è poi vero – sempre continuando a battere sul chiodo, come fa Biancofiore, dei gruppi svantaggiati e bisognosi di tutela – che un modello scolastico paritetico plurilingue offra sufficienti garanzie per tutti e in ogni circostanza? Non sarebbe meglio distinguere con cura e meno demagogicamente i vari livelli e le varie tipologie di “necessità” in rapporto a soggetti diversi?

Il dato mancante di tutta questa discussione sembra essere una maggiore riflessione su che cosa sia veramente “necessario” cambiare e soprattutto perché, per chi, per raggiungere cosa e con quali effetti complessivi. Affrontando tali nodi – come sarebbe auspicabile fare, se non altro per non rischiare di spendere inutili parole – ci accorgeremmo che senza un radicale ripensamento dei presupposti culturali in base ai quali è possibile abbozzare scenari autenticamente futuribili, il risultato ci porterebbe all’ennesima divergenza di prospettive “etniche”, sostenuta dalla solita preoccupazione di limitare discriminazioni e soprusi di cui finiamo comunque per incolpare gli “altri”. Una situazione tutt’altro che adeguata per introdurre significativi e, soprattutto, positivi cambiamenti.

Corriere dell’Alto Adige, 10 settembre 2011  



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