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Rifondazione, congresso o digresso?

Creato il 03 dicembre 2011 da Conflittiestrategie

 

Dopo il congresso dei Comunisti Italiani di Diliberto svoltosi nel mese scorso, è ora la volta del congresso di Rifondazione Comunista. Il partito di Ferrero – coartefice del cartello elettorale della FdS – giunge al suo appuntamento proprio in questo fine settimana, con ben tre documenti di candidatura pubblicati agli atti. Il secondo ed il terzo sono praticamente più di facciata che altro, hanno un appoggio quasi irrilevante e limitato a pochissime federazioni locali, e saranno presumibilmente asfaltati dal documento congressuale numero 1, ossia quello che rilancia e sostiene la candidatura di Ferrero alla segreteria generale. Gli stralci sono a dir poco deliranti e proseguono sulla pittoresca linea operaista-trotzkista-valdese che  anima il leader del partito. Se da un lato, infatti, si scorgono passaggi interessanti nella capacità – per altro non eccezionalmente lucida – di individuare i semi di un ordine multipolare in divenire (effetto BRICS), dall’altro viene riprodotta un’analisi stantìa e retorica del mondo capitalistico occidentale. Molta retorica sulla ritrovata attualità del pensiero di Marx – inevitabilmente sempre interpretato attraverso un filtro moralistico e pseudo-filosofico, e mai seriamente economico, strategico e scientifico – ed ancora una volta l’imposizione di una dualità schematica di classe vecchia, anacronistica e non più capace di rilevare le contraddizioni principali esistenti sullo scenario internazionale. Manca un’analisi seria capace di inquadrare il ruolo della Repubblica Popolare Cinese, a malapena citata, sia sul piano geopolitico sia sul piano del rinnovamento e del superamento progressivo del pensiero marxista-leninista, che Deng Xiaoping è stato in grado di innescare attraverso la teoria del socialismo con caratteristiche cinesi.

Quel modello ha effettivamente catapultato il Partito Comunista Cinese in una fase storica che ha saputo leggere in anticipo le grandi trasformazioni epocali dell’era post-fordiana, rilanciando il ruolo dello Stato secondo un nuovo e – per alcuni aspetti – inedito impianto teorico in grado di uscire dalle sacche di un infantilismo rivoluzionario che ha cristallizzato il marxismo in un becero anti-mercatismo sino a divenire (attraverso contaminazioni ideologiche con movimenti new-age ambientalisti e organizzazioni umanitarie di vario genere) una sorta di anti-sviluppismo. L’avversione all’industrializzazione pesante, all’energia nucleare e alla pianificazione di un percorso di ricostruzione produttiva sotto la guida dello Stato, sono posizioni che contano enormemente ed oltremodo negativamente nella politica degli ultimi trent’anni. Primo impedimento a questo processo è senz’altro la condizione di sovranità più che limitata del nostro Stato che, al di là di ogni altra pur sussistente contraddizione sociale, rappresenta la contraddizione primaria. Senza sovranità industriale, energetica e militare, l’Italia non ha alcuna possibilità di imporre un proprio programma politico autonomo, proprie relazioni diplomatiche e proprie linee guida in termini di politica sociale. La presenza della BCE e della Nato impongono all’Italia pesantissime limitazioni alla propria autonomia, sino a ridurre ai minimi margini l’agibilità di una classe dirigente che non rappresenta più alcun settore produttivo, né dipendente né imprenditoriale, ma soltanto una serie di comitati di interessi, costruiti sul modello dei due partiti dominanti negli Stati Uniti, e legati, a vari livelli, ad ambienti politici, economici e militari stranieri.

Nonostante la prepotente entrata in scena del governo Monti abbia dimostrato con evidenza netta e a pieno titolo la condizione di commissariamento e servaggio del nostro Paese, il documento di Ferrero dimentica di ricordare la tragicomica eredità di Fausto Bertinotti, l’appoggio ai due governi dell’ex emissario Goldman-Sachs Romano Prodi (1996-1998 e 2006-2008), ed il completo smantellamento dell’IRI e del sistema a partecipazione statale avviato dai governi di centro-sinistra negli anni Novanta, e sembra confluire ancora una volta verso i temi di un’ultra-sinistra di piazza, che all’analisi concreta delle cose concrete sembra preferire un anticapitalismo in stile indignados. Tant’è che la prima preoccupazione è quella di sancire (ancora una volta, in un rinnovato clima krusceviano da XX Congresso Pcus) “una rottura radicale con lo stalinismo”, specificando che “la separazione dallo stalinismo è anche e soprattutto la messa in causa di un paradigma della transizione, di una concezione della politica, di una funzione del partito” e che “nel nuovo movimento comunista queste ragioni [diritti civili della persona, nda] devono essere sviluppate fino in fondo, in nome della società nuova da costruire, della liberazione del lavoro e dal lavoro, del rifiuto della sussunzione della cittadinanza nella statualità”. Il Socialismo Reale, dunque, costituirebbe “un’eredità negativa” in cui “individuiamo, prima di tutto, l’idea di un “campo socialista” – campo statuale – al quale sacrificare, o subordinare, gli interessi strategici del movimento operaio mondiale: una distorsione di prospettiva improponibile, anche e soprattutto per il futuro”, “l’ossificazione dogmatica della teoria: un sostituto autoritario e inefficace dell’analisi dei processi reali, della metodologia dell’inchiesta, della verifica” ed uno “sviluppo industriale centralizzato, che ha prodotto un grande sviluppo economico ma contemporaneamente ha riprodotto rapporti di produzione gerarchizzati, non ha liberato il lavoro e ha contribuito all’ulteriore centralizzazione antidemocratica dello stato”. Insomma, lo Stato – secondo Ferrero – va posto in secondo piano rispetto alla libertà della persona e ai diritti individuali. Piace vedere che Karl Marx (ma, in tal merito, soprattutto Engels) sia stato sostituito da Karl Popper, e che il linguaggio da organizzazione non governativa occidentale si spinga sino ad affermare che da questo “deficit – non dal surplus – di socialismo sono derivate la concezione (e la pratica) totalizzante e dispotica del Partito, l’arbitrio incontrollabile del leader, la cancellazione di ogni istanza democratica di base nell’organizzazione e nella società, la fine della libertà sindacale, la riduzione degli individui e delle persone ad appendici insignificanti della potere”. L’Unione Sovietica e i Paesi ad essa alleati nel quadro del Patto di Varsavia e/o del Comecon, erano dunque – secondo Rifondazione – retti da organismi autoritari, che non badavano ai diritti della persona e che avevano riprodotto le gerarchie sociali di un tempo.

Non c’è da stupirsi se, come riporta Costanzo Preve in un suo articolo, il giovane Paolo Ferrero, all’epoca in Democrazia Proletaria, sia passato alla “storia” per aver investito (capitalista peccatore!!!) un milione delle vecchie lire in manifesti che celebrassero trionfalmente la caduta del Muro nel 1989. Coerentemente con quel folle gesto che allineava de facto le posizioni dell’estrema sinistra operaista e trotzkista alle linee guida di Solidarnosc, di Radio Free Europe e di Carta77, il documento congressuale di maggioranza di Rifondazione riporta in vita la retorica di Walesa e di Sakharov. Quei movimenti est-europei furono abbondantemente finanziati dal Quantum Fund di George Soros, già pronto ad inaugurare la stagione delle rivoluzioni di velluto o colorate all’interno dell’immenso spazio post-sovietico, ormai disossato da una miriade di traditori, sabotatori, oligarchi, dissidenti rientrati in “patria” e dai peggiori ceffi di cui Washington e Londra potessero servirsi. E non sorprende certo il fatto che lo stesso Soros sia dietro anche a tutta una serie di movimenti di manovalanza riconducibili alla galassia del cosiddetto “radicalismo di sinistra” occidentale, come Avaaz e il circuito “indipendente” informativo di IndyMedia, sino addirittura – si vocifera – agli Indignados: curioso davvero che uno dei più grandi speculatori di Wall Street, un emblema del capitalismo a stelle e strisce ed un nemico dichiarato del Socialismo Reale, come l’ebreo ungherese George Soros, possa strizzare l’occhio a movimenti di chiare tendenze anticapitaliste. Ma del resto, la New Left americana è stata capace anche di questo, cioè di generare nuovi mostri per infilare giuste battaglie nel vicolo cieco di rivendicazioni moraliste, populiste e prive di qualunque analisi scientifica di dimensione sistemica e di tenore strategico. Cos’era l’euro-comunismo, in fin dei conti, se non un progetto pensato per eliminare in ogni Paese occidentale qualunque terminale di riferimento all’Unione Sovietica, schiacciando in minoranza le correnti maggiormente legate a Mosca all’interno di ogni partito comunista? Perché la Cia espresse solidarietà a Berlinguer, complimentandosi di aver emarginato la corrente dei cossuttiani all’interno del PCI? Domande con risposta immediata e spiegazione molto semplice: è facile per questi ambienti anti-sistema costruire un consenso a partire proprio dalla pars destruens, dalla “critica al” e dalla dimensione anarchica della “guerriglia urbana”. Come Grillo, anche Ferrero evidentemente sa bene che il dissenso (e non la lotta) paga. Basterà qualche trombato dalla nuova rigidità montiana nella pubblica amministrazione o qualche cassaintegrato in più per aggiungere tessere militanti al mosaico del nulla politico della Federazione della Sinistra, ricercando un appoggio vitale nelle pagliacciate di Vendola e del suo partito, che della deriva new-age di “sinistra” è un biglietto da visita a colori e caratteri nobiliari.
Il comunismo  a cui facciamo riferimento è un comunismo di società, legato alla democratizzazione della vita quotidiana, al rispetto e alla valorizzazione della dignità delle persone che porta con sé il ridisegno delle relazioni tra le persone e tra la società e la natura”: con questo sermone da prete scalzo, si afferma in sostanza il nulla ideologico e teorico, sfiorando i livelli di Carlo Verdone alias Ruggero Brega nel film Un Sacco Bello. Purtroppo non c’è nessun padre oggi a ridere in faccia e a sbraitare contro questi “figli dell’amore eterno de noantri”, ricordando alla “zoccolé” di turno che lui è “communista così”.


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