dalle pagine 338-339 di
Alla fine del 2011 il governo tecnico Monti fece approvare una nuova riforma pensionistica elaborata dalla ministra Elsa Fornero (Legge 214/2011). Tale riforma è stata realizzata nel difficile tempo dell’acuta crisi finanziaria iniziata nel 2008 (capitolo 10) e introduce una serie di importanti modifiche dell’assetto normativo del sistema previdenziale italiano, allineandolo alla maggior parte dei paesi europei. I principi su cui poggia sono, in sintesi. i seguenti:
- sostanziale eliminazione delle pensioni di anzianità che assumono la nuova denominazione di “pensione anticipata”. Viene abbattuto il “totem” dei 35 anni di contributi che, sia pure con età anagrafiche crescenti, aveva consentito per anni a milioni di lavoratori di andare in pensione prima dei canonici 60 e 65 previsti per le rendite di vecchiaia. Ora per accedere alla pensione occorrono almeno 42 anni e un mese per gli uomini e 41 anni e un mese per le donne
- i requisiti per la pensione di vecchiaia sono adesso quelli di avere un’età anagrafica di 66 anni per gli uomini e di 62 per le donne. Inoltre è previsto un graduale aumento per raggiungere nel 2018 i 66 anni anche per le donne
- affermazione del metodo contributivo come criterio di calcolo delle pensioni nella prospettiva dell’equità finanziaria, intragenerazionale e intergenerazionale
- flessibilità nell’età di pensionamento, ma con penalizzazioni economiche
- abolizione dei meccanismi di calcolo che non rientrino esplicitamente nel modello contributivo
- abbattimento delle posizioni di privilegio
Questa strutturale riforma, che si spera possa garantire la sostenibilità negli anni futuri, è stata possibile solo per il contesto politico di emergenza del governo di unità nazionale Monti.
Sostiene un esperto di lavoro e previdenza:
in un sol colpo e, verrebbe da dire, senza colpo ferire rispetto a partiti e sindacati rimasti un po’ attoniti e storditi, i nuovi provvedimenti hanno mandato in soffitta le pensioni di anzianità, semplicemente, si fa per dire, abolendole; ha elevato l’età pensionabile delle donne con un salto in avanti senza precedenti; ha esteso il metodo di calcolo contributivo a tutti, rottamando definitivamente il vecchio, generoso sistema retributivo; ha cancellato residui privilegi e colpito gli ultimi vantaggi; ha mandato al macero marchingegni come le cosiddette “finestre mobili”, ristabilendo la simmetria tra maturazione dei requisiti e possibilità di uscita. (Marmo A. R., 2012, p. 10)