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Riforma RAI, raggianti alla rovina e squallore da record

Creato il 01 agosto 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
RAI_—_Radiotelevisione_italiana_(logo)_svgdi Giuseppe Leuzzi. Sembra impossibile ma con la riforma di Renzi lo squallore Rai raggiunge vette record, un masochismo da suicidio.

La culla del sottogoverno ritorna feudo del governo. Non più il Parlamento, come voleva la legge Gasparri, pure tanto criticata, ma il governo, direttamente e attraverso al sua maggioranza in Parlamento, nominerà il consiglio e il direttore generale-amministratore delegato. Lo nominerà fra tre anni, ma prima delle elezioni, che Renzi assolutamente vuole vincere. Ma cautelandosi anche per la sconfitta: legherà comunque a sé il consiglio Rai per cinque anni attraverso il contratto di programma, di durata non più triennale ma quinquennale, attraverso il quale il governo, e non più il Parlamento, stabilirà gli indirizzi – la “linea”.

Una controriforma fantastica, tanto è radicale – neanche Putin ha osato tanto. Gabellata dai media come riforma. Che il Parlamento vota obbediente. Nel silenzio quasi generale. Soprattutto dei sindacati Rai, per questioni molto meno importanti solitamente ciarlieri e critici. Se ne parla sui media giusto per dare conto dello scontento delle minoranze nei partiti, esigue. Sul merito silenzio totale, di cronisti e commentatori. Di questi, degli intellettuali, si può pensare che sia per prudenza, la Rai è pur sempre una comoda, per quanto piccola e parsimoniosa, mammella. Ma gli altri, soprattutto i giornalisti Rai, i dipendenti?

Un silenzio che è peggio della controriforma: un conformismo che travalica così rassegnato nel masochismo. . Per molto meno, con altri schieramenti, abbiamo assistito a rivolte generali dei media, qui tutti zitti. Anche i professori e augusti giornalisti parlamentarizzati dal Pd.

Ma più che complici, i media sembrano corvi in attesa di impadronirsi delle risorse pubblicitarie che la Rai, malgrado tutto, ancora drena: Il sottinteso è: che la Rai sia ridotta a portavoce del governo, a noi gli ascolti e la pubblicità.


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