Magazine Lavoro
E però vuol dire anche non avere paura a sostenere una riforma forte del diritto del lavoro, con l’introduzione di un contratto unico che preveda tutele progressive con il passare degli anni, sul modello di quelli elaborati da tanti esperti, da Pietro Ichino a Tito Boeri. Avere il coraggio di sostenere politiche che incentivino il merito, anche se questo significa perdere quei diritti di “inamovibilità” che specialmente nel settore pubblico si sono consolidati negli ultimi 40 anni. Vuol dire premere sull’Inps per risolvere l’enorme problema taciuto delle (inesistenti) pensioni che tra trent’anni (non) percepiranno i precari di oggi. Vuol dire lottare per i diritti ma non per i privilegi, che sono cosa ben diversa e bloccano ogni cambiamento.
A partire dalla protesta de «Il nostro tempo è adesso», la proposta per risolvere i problemi dei giovani italiani può essere declinata anche in un altro modo. Non per forza demonizzando il nuovo assetto del mercato del lavoro, bensì piuttosto cercando di migliorarlo e di impedire che al suo interno vi siano diseguaglianze tanto intollerabili tra chi ha un buon contratto e chi invece, da atipico, si ritrova cornuto e mazziato.
Il dibattito su come affrontare il post 9 aprile è prezioso: dobbiamo sforzarci di farlo guardando avanti anziché indietro, perché solo così potremo ambire a costruire un futuro diverso per i giovani italiani. Un futuro in cui ci possa essere una «flessibilità buona», e non precarietà.
Articolo di Gaia Fiertler su il Mondo di venerdì
Eleonora Voltolina, membro del comitato Il nostro tempo è adesso e fondatrice di Repubblica degli stagisti
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