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Riformare l'Islam si può: o almeno c'è chi ci prova

Creato il 04 aprile 2015 da Danemblog @danemblog
(Uscito sul Giornale dell'Umbria del 04/04/15)

Il titolo del nuovo libro di Ayaan Hirsi Ali, avrebbe dovuto essere "The reformer": poi la scrittrice ha abbandonato l'idea, perché aveva paura che la sua opera passasse per qualcosa di "fantasioso", e invece secondo Hirsi Ali, la "riforma" dell'Islam (accezione quasi luterana del termine) è un fatto, qualcosa che sta già avvenendo. Il suo libro, uscito negli Stati Uniti per HarperCollins, si intitola invece "Eretica": «Voglio invece sfidare secoli di ortodossia religiosa con idee e argomenti che, sono certa, saranno definiti eretici: l’Islam non è una religione di pace» – Ayaan è musulmana, ma spesso per le sue visioni viene accusata di islamofobia. Lei, che vide il suo nome scritto su un foglietto appuntato con un coltello sul ventre di Theo Van Gogh, il regista olandese ucciso nel 2004 da Mohammed Bouyeri, estremista islamico esponente del gruppo fondamentalista Hofstad. Sulla testa di Van Gogh pesava una fatwa estremista legata alla pubblicazione del suo cortometraggio "Submission" ("Sottomissione", uno dei possibili modi di tradurre il termine arabo "islam"): ma l'obiettivo dell'attentato doveva essere Hirsi Ali, colpevole di avere già ai tempi una visione riformatrice del mondo religioso musulmano – soprattutto legata ai diritti delle donne.
Secondo la scrittrice, esistono tre tipologie di musulmani: i "Mecca muslims", devoti che cercano di adattare i precetti coranici alla vita quotidiana senza però porsi troppi interrogativi; i "Medina Muslims", gli integralisti fanatici che spesso degenerano nel fondamentalismo, che continuano a credere nella sottomissione/attacco degli infedeli; i "Modyfing Muslims", i riformatori, spesso dissidenti come lei, che non accettano passivamente i dettami religiosi e che cercano di creare un sistema intellettuale che possa porre fine al radicalismo. Processo, che secondo quello che Hirsi Ali scrive in "Eretica", deve avvenire seguendo cinque linee di pensiero che rendono certe letture dell'Islam incompatibili con la vita moderna: garantire che Maometto e il Corano siano aperti all’interpretazione e alla critica ; l’enfasi dell’islam sulla vita dopo la morte più che sulla vita qui e ora; la presunzione che la sharia sia un sistema onnicomprensivo di leggi che governano il potere spirituale e temporale; l’obbligo per i musulmani di ordinare quel che è giusto e proibire quel che è sbagliato; il concetto del jihad, o della guerra santa.
La rivoluzione religiosa nell'Islam chiesta dagli intellettuali come Hirsi Ali, trova una sponda fondamentale nel nuovo Egitto del presidente/generale Sisi. «Un riformatore improbabile», l'ha definito il Wall Street Journal, ma il discorso di gennaio dinanzi ai vertici dell'Università di al Azhar – il maggior centro teologico di tutto il mondo sunnita – ha segnato un passo cruciale nella solida campagna di contrapposizione all'interpretazione radicale dell'Islam, che il presidente sta conducendo. L'aspetto centrale, sta nel fatto che quelle parole sono stato pronunciato da un credente musulmano: la dura lotta alla Fratellanza musulmana, ha fatto spesso passare Sisi per un laico, mentre invece lui fu scelto da Mohammed Morsi come capo dell'esercito perché incarnava la devozione islamica – Bret Stephens, che lo ha intervistato sul Financial Times, ha fatto notare che sul viso del generale si vedono i segni della zabiba, "il callo che hanno sulla fronte i musulmani più zelanti, creato dal contatto con il pavimento durante la prostrazione nella salat", le cinque preghiere quotidiane. E la rivoluzione culturale che Sisi vuole imporre nel mondo musulmano, partirà dalle scuole, dove il governo egiziano sta mettendo in azione un piano di sicurezza intellettuale, modificando gli insegnamenti e ponendo più attenzione su alcuni argomenti (come la storia del jihad).
Idee riformatrici che di questi tempi possono apparire fuori sincrono: le primavere arabe sembrano aver fallito, lo Stato islamico ha creato il più grosso threat mondiale legato ad un'interpretazione radicale – sebbene non inventata dal nulla – del mondo islamico. E invece è proprio questo il momento.
Domenica 70 mila persone sono scese in piazza a Tunisi al coro “Tous unis, Tunisie”, a ricordare al mondo per cosa si sta combattendo. Perché non è un caso che i terroristi abbiano scelto di attaccare il cuore storico e culturale della Tunisia, un paese che ha superato il trauma delle Primavere e dove la democrazia sta cominciando a camminare da sola, a testa alta – a manifestare contro l'attacco al Bardo, c'erano in prima fila i capi del partito islamico Ennahda, che sembrava dovesse gettare il paese nell’oscurantismo (come è stato nel caso di altre Primavere, con dittatori che hanno lasciato il posto ad altri dittatori o al caos islamista) e che invece ha persino rinunciato al potere quando era necessario.


Il ministro tunisino dello Sviluppo, Yassine Brahim, ha scritto in un op-ed sul Wall Street Journal :«Quando delle minoranze violente cercano di svilire maggioranze pacifiche, la risposta migliore è non cambiare il percorso che si sta facendo». La volontà tunisina di uscire dal cambio di regime come modello di stabilità e prosperità, resta ferma – quello dell'attentato è solo un altro degli ostacoli trovati lungo il percorso. «La Tunisia è ancora un caso di successo», ha detto Larry Diamond sul The Atlantic, dove regge un fragile patto istituzionale (e costituzionale) tra laici e religiosi, che condanna ogni forma di estremismo. Quello che serve adesso alla Tunisia è che il processo democratico trovi una forte spinta economica, e che si compiano le promesse europee e americane di un sostegno non solo militare, seppure indispensabile. (La Tunisia è un modello che vale per tutto).
Come ha sostenuto la stessa Hirsi Ali, non si può pensare di combattere la violenza del radicalismo soltanto «drone away» (grande definizione, colpo basso a Obama, che nella campagna-droni contro i leader estremisti ha fondato la strategia di counter-terrorism). Quello di cui si deve soprattutto occupare l'Occidente, è combattere i fanatici religiosi sul piano culturale e intellettuale, senza ipocrisie. Dice ancora Hirsi Ali a proposito dell'interpretazione occidentale del mondo islamico, che non ci si è mai preoccupati «di sviluppare una contronarrazione efficace, perché si è continuato a negare che l’estremismo islamico sia correlato all’islam». Non si può più avere paura di apparire intolleranti, non si può più abdicare al pensiero critico.

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