Il Ministro al Lavoro Elsa Fornero è stata, specialmente nel suo discorso di ieri a 'Che tempo che fa', comunicativamente chiarissima sul futuro che si prospetta per gli italiani dalle riforme in corso: la loro riuscita in termini efficaci è collegata strettamente alle speranze di rilancio e crescita economica "esterne". Senza quelle, dunque, qualunque provvedimento preso potrebbe diventare carta straccia. Nell'anno in corso, stando a prospettive ottimistiche, il PIL dovrebbe calare su cifre prossime al 1-2%; percentuali pessimistiche lo decurtano invece di oltre il 4%. Da qui, pertanto, emerge spontaneamente una domanda: quando e di quanto sarebbe necessario "crescere" annualmente per poter definire utili queste riforme e manovre economiche? La sostenibilità del debito pubblico dipende, in prima istanza, dalla possibilità di poter disporre dei fondi necessari a garantire il ripianamento degli interessi cumulati. Su questo fronte, a maggior ragione, le riforme attualmente in corso d'opera hanno richiesto ingenti sacrifici agli italiani nel loro intero: prima la Salva-Italia, poi le semplificazioni ed il prossimo intervento sul mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali. Sono state aggiunte tasse che, fra dirette ed indirette, hanno nei fatti messo ulteriormente alla prova l'avvenire delle famiglie. Il tentativo che sembra essere stato promosso è, a conti fatti, uno solo: scaricare parte del debito pubblico sul (reputato) immenso risparmio privato delle famiglie italiane. La scelta di questa misura può essere discutibile e controversa ma, forse, necessaria ad impedire ildefault dello Stato italiano: di fronte ad un debito di credibilità prossimo a sforare i 2mila miliardi di Euro qualsiasi commento ulteriore rischia di diventare superfluo. Su questo fronte, pertanto, la concertazione e l'ascolto con le parti sociali si rivela ancora più necessario ed urgente: è impensabile affrontare tematiche (sciaguratamente) rimandate per decenni, in un brevissimo intervallo di tempo, senza rapportarsi e raccordarsi con tutti coloro che devono (dovrebbero) tutelare gli interessi e le urgenze dei lavoratori. Il "non si può parlare all'infinito" deve essere retto, di pari passo, da un'altra condizione necessaria:non si può decidere immediatamente. La situazione urgente, è sempre meglio ricordarlo, non è esclusivamente di natura finanziaria: il tessuto sociale dell'Italia intera si va, pian piano, sfaldando completamente. I Ministri del Governo lo sapranno molto più di qualunque italiano medio...sempre a patto che si tolgano le paccate di miliardi dagli occhi. L'urgenza per garantire un domani richiede la necessità di far respirare il Paese, contemporaneamente, su una miriade di altri 'settori' non più rinviabili: ambiente, industria, giustizia, troppa burocrazia, mobilità e sempre più ingente peso fiscale. Lo sfascio rischia di essere quindi totale, aggravandosi, specialmente in una situazione nella quale sembriamo più che mai dipendenti dagli equilibri macro-economici e finanziari. Le persone sicuramente più rispettabili e competenti di questo Governo non possono, su questo fronte, rimandare di troppo la necessità di inquadrare la necessità di una svolta epocale nella sua enorme complessità. Recuperare credibilità nei confronti del mercato mondiale non deve essere un'azione fatta, però, a totale svantaggio del cittadino medio italiano: le imprese languono, in un Paese nel quale anche l'urgenza minima di ripagare il debito è venuta a mancare. Il tessuto delle piccole e medie imprese attende, secondo cifre suscettibili di variazione, un importo che complessivamente si aggira attorno ai 70 miliardi di Euro. Basterebbe sbloccare (tutti o parte di) questi fondi per sperare maggiormente in una qualunque forma di "crescita"? Ripianare un debito potrebbe permettere, forse, al generico imprenditore di poter sperare di (re)investire qualcosa in produzione ed occupazione? Siamo ad un punto di svolta in cui, alla luce di tutto questo, l'intervento sull'impianto del lavoro è prioritario ma non costituisce la sola emergenza a cui è necessario dare visibilità ed urgenza. Chiedere ai sindacati di cedere qualcosa non equivale, forse, a chiedere ai loro rappresentati di cedereancora qualcosa? Non sarebbe meglio chiedere che siano gli istituti bancari a dover cedere qualcosa, in virtù soprattutto degli ingenti prestiti a tassi di interesse esigui e prossimi all'1% circa? La degenerazione neoliberista ha come sola condizione di fuga il chiedere sempre di più a chi ha sempre meno per tappare le falle e rimediare gli errori fatti da leader democraticamente eletti ma, anche inconsapevolmente, lasciati fare? E' e sarà sempre solo la base della piramide a dover ovviare agli errori macro-economicamentecommessi da altri? A questa domanda è urgente trovare una risposta, dato che proprio su questi temi "non si può discutere all'infinito." La sfida di riscrivere un sistema può essere compiuta solo ed esclusivamente andando nella direzione di comprimere i diritti conquistati dai lavoratori in anni di battaglie? Dove stanno le potenzialità sterminate che, nella sola Italia, risiedono a livello di risorse non ancora sfruttate ed incentivate appieno? Se di certe cose si discute all'infinito, infatti, di altrettante sembra che non si discuta proprio: pianificazione energetica, riconversione industriale e sostenibilità ambientale sono solo alcuni dei pilastri su cui potrebbe essere urgente e dirimente adoperarsi. Sono tematiche di un'urgenza pari o superiore a quella del mercato del lavoro, per una serie di ragioni impossibili da sintetizzare. La pianificazione energetica, specialmente in un Paese come l'Italia, potrebbe creare sul medio-lungo termine nuovo valore da reinvestire. La sostenibilità ambientale potrebbe condurre il Paese fuori dalla silenziosa tragedia del dissesto idrogeologico, che in (almeno) 60 anni ha fatto dilapidare all'Italia cifre economiche, difficilmente quantificabili, per il mancato intervento. Il piano di riconversione industriale dovrebbe partire dall'analisi concreta di alcuni bisogni fondamentali: fare rete fra le infinite realtà medio-piccole italiane, favorendo una riduzione dei costi d'esercizio e lavorando di pari passo sulle innovazioni per incrementare le possibilità di riscatto "economico". Tutto questo andrebbe fatto in quanto, a posteriori, una delle lezioni cumulate nella crisi è di fondamentale importanza: la sicurezza finanziaria e macro-economica sembra essere completamente scollegata alla sicurezza micro-economica. Il vento di cambiamento che dovrebbe avvertirsi come dominante fra qualche anno non potrà lasciare indietro questa semplice ma tremenda verità. Le intese, da qualunque punto di vista la si guardi, finiscono con il diventare tremendamente importanti per garantire quel livello di "coesione sociale" necessario a non mettere ogni cittadino del mondo contro l'altro. Il dare concretamente spazio ai giovani è una necessità da attuare senza dimenticare tutte queste "condizioni iniziali" di straordinaria importanza. Sarà possibile riuscirci solamente valutando l'enorme problema nella sua complessità, senza esaminarlo per soli comparti stagni. Tutto sembra essere collegato, per fortuna o purtroppo. A questa verità ormai irrimediabile dobbiamo porre rimedio. Svoltare, dopotutto, può ancora essere possibile.
Riformare...senza intese: rischio od opportunita'?
Creato il 19 marzo 2012 da Alessandro @AleTrasforiniIl Ministro al Lavoro Elsa Fornero è stata, specialmente nel suo discorso di ieri a 'Che tempo che fa', comunicativamente chiarissima sul futuro che si prospetta per gli italiani dalle riforme in corso: la loro riuscita in termini efficaci è collegata strettamente alle speranze di rilancio e crescita economica "esterne". Senza quelle, dunque, qualunque provvedimento preso potrebbe diventare carta straccia. Nell'anno in corso, stando a prospettive ottimistiche, il PIL dovrebbe calare su cifre prossime al 1-2%; percentuali pessimistiche lo decurtano invece di oltre il 4%. Da qui, pertanto, emerge spontaneamente una domanda: quando e di quanto sarebbe necessario "crescere" annualmente per poter definire utili queste riforme e manovre economiche? La sostenibilità del debito pubblico dipende, in prima istanza, dalla possibilità di poter disporre dei fondi necessari a garantire il ripianamento degli interessi cumulati. Su questo fronte, a maggior ragione, le riforme attualmente in corso d'opera hanno richiesto ingenti sacrifici agli italiani nel loro intero: prima la Salva-Italia, poi le semplificazioni ed il prossimo intervento sul mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali. Sono state aggiunte tasse che, fra dirette ed indirette, hanno nei fatti messo ulteriormente alla prova l'avvenire delle famiglie. Il tentativo che sembra essere stato promosso è, a conti fatti, uno solo: scaricare parte del debito pubblico sul (reputato) immenso risparmio privato delle famiglie italiane. La scelta di questa misura può essere discutibile e controversa ma, forse, necessaria ad impedire ildefault dello Stato italiano: di fronte ad un debito di credibilità prossimo a sforare i 2mila miliardi di Euro qualsiasi commento ulteriore rischia di diventare superfluo. Su questo fronte, pertanto, la concertazione e l'ascolto con le parti sociali si rivela ancora più necessario ed urgente: è impensabile affrontare tematiche (sciaguratamente) rimandate per decenni, in un brevissimo intervallo di tempo, senza rapportarsi e raccordarsi con tutti coloro che devono (dovrebbero) tutelare gli interessi e le urgenze dei lavoratori. Il "non si può parlare all'infinito" deve essere retto, di pari passo, da un'altra condizione necessaria:non si può decidere immediatamente. La situazione urgente, è sempre meglio ricordarlo, non è esclusivamente di natura finanziaria: il tessuto sociale dell'Italia intera si va, pian piano, sfaldando completamente. I Ministri del Governo lo sapranno molto più di qualunque italiano medio...sempre a patto che si tolgano le paccate di miliardi dagli occhi. L'urgenza per garantire un domani richiede la necessità di far respirare il Paese, contemporaneamente, su una miriade di altri 'settori' non più rinviabili: ambiente, industria, giustizia, troppa burocrazia, mobilità e sempre più ingente peso fiscale. Lo sfascio rischia di essere quindi totale, aggravandosi, specialmente in una situazione nella quale sembriamo più che mai dipendenti dagli equilibri macro-economici e finanziari. Le persone sicuramente più rispettabili e competenti di questo Governo non possono, su questo fronte, rimandare di troppo la necessità di inquadrare la necessità di una svolta epocale nella sua enorme complessità. Recuperare credibilità nei confronti del mercato mondiale non deve essere un'azione fatta, però, a totale svantaggio del cittadino medio italiano: le imprese languono, in un Paese nel quale anche l'urgenza minima di ripagare il debito è venuta a mancare. Il tessuto delle piccole e medie imprese attende, secondo cifre suscettibili di variazione, un importo che complessivamente si aggira attorno ai 70 miliardi di Euro. Basterebbe sbloccare (tutti o parte di) questi fondi per sperare maggiormente in una qualunque forma di "crescita"? Ripianare un debito potrebbe permettere, forse, al generico imprenditore di poter sperare di (re)investire qualcosa in produzione ed occupazione? Siamo ad un punto di svolta in cui, alla luce di tutto questo, l'intervento sull'impianto del lavoro è prioritario ma non costituisce la sola emergenza a cui è necessario dare visibilità ed urgenza. Chiedere ai sindacati di cedere qualcosa non equivale, forse, a chiedere ai loro rappresentati di cedereancora qualcosa? Non sarebbe meglio chiedere che siano gli istituti bancari a dover cedere qualcosa, in virtù soprattutto degli ingenti prestiti a tassi di interesse esigui e prossimi all'1% circa? La degenerazione neoliberista ha come sola condizione di fuga il chiedere sempre di più a chi ha sempre meno per tappare le falle e rimediare gli errori fatti da leader democraticamente eletti ma, anche inconsapevolmente, lasciati fare? E' e sarà sempre solo la base della piramide a dover ovviare agli errori macro-economicamentecommessi da altri? A questa domanda è urgente trovare una risposta, dato che proprio su questi temi "non si può discutere all'infinito." La sfida di riscrivere un sistema può essere compiuta solo ed esclusivamente andando nella direzione di comprimere i diritti conquistati dai lavoratori in anni di battaglie? Dove stanno le potenzialità sterminate che, nella sola Italia, risiedono a livello di risorse non ancora sfruttate ed incentivate appieno? Se di certe cose si discute all'infinito, infatti, di altrettante sembra che non si discuta proprio: pianificazione energetica, riconversione industriale e sostenibilità ambientale sono solo alcuni dei pilastri su cui potrebbe essere urgente e dirimente adoperarsi. Sono tematiche di un'urgenza pari o superiore a quella del mercato del lavoro, per una serie di ragioni impossibili da sintetizzare. La pianificazione energetica, specialmente in un Paese come l'Italia, potrebbe creare sul medio-lungo termine nuovo valore da reinvestire. La sostenibilità ambientale potrebbe condurre il Paese fuori dalla silenziosa tragedia del dissesto idrogeologico, che in (almeno) 60 anni ha fatto dilapidare all'Italia cifre economiche, difficilmente quantificabili, per il mancato intervento. Il piano di riconversione industriale dovrebbe partire dall'analisi concreta di alcuni bisogni fondamentali: fare rete fra le infinite realtà medio-piccole italiane, favorendo una riduzione dei costi d'esercizio e lavorando di pari passo sulle innovazioni per incrementare le possibilità di riscatto "economico". Tutto questo andrebbe fatto in quanto, a posteriori, una delle lezioni cumulate nella crisi è di fondamentale importanza: la sicurezza finanziaria e macro-economica sembra essere completamente scollegata alla sicurezza micro-economica. Il vento di cambiamento che dovrebbe avvertirsi come dominante fra qualche anno non potrà lasciare indietro questa semplice ma tremenda verità. Le intese, da qualunque punto di vista la si guardi, finiscono con il diventare tremendamente importanti per garantire quel livello di "coesione sociale" necessario a non mettere ogni cittadino del mondo contro l'altro. Il dare concretamente spazio ai giovani è una necessità da attuare senza dimenticare tutte queste "condizioni iniziali" di straordinaria importanza. Sarà possibile riuscirci solamente valutando l'enorme problema nella sua complessità, senza esaminarlo per soli comparti stagni. Tutto sembra essere collegato, per fortuna o purtroppo. A questa verità ormai irrimediabile dobbiamo porre rimedio. Svoltare, dopotutto, può ancora essere possibile.
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