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Riguardo le traduzioni: “Creatura di Sabbia”, di Tahar Ben Jelloun

Creato il 04 agosto 2012 da Postscriptum

Riguardo le traduzioni: “Creatura di Sabbia”, di Tahar Ben Jelloun

In un mio precedente scritto opinavo in merito alla traduzione in italiano di un romanzo di Amin Maalouf. Devo in qualche modo fare ammenda, e probabilmente addossare le colpe di “certe asprezze” al modo di scrivere dello stesso scrittore libanese. Questo mio ricredermi è stato causato dalla lettura di uno splendido romanzo, “Creatura di Sabbia”, di Tahar Ben Jelloun, marocchino di nascita ma senz’altro francofono. La traduzione è stata curata da Egisto Volterrani, così come per Il periplo di Baldassarre, ma qui la resa è sicuramente più alta. Non so se a causa della fonte o del percorso intrapreso dal fiume di parole (Oddio, non me ne vogliano i Jalisse!). In altri termini, non conoscendo il testo in francese, non so dire se gli elogi siano da indirizzare all’autore o al traduttore. Probabilmente entrambi. Leggo ora che Volterrani è “un architetto, traduttore, scenografo, cuoco e intellettuale italiano. Presidente del Teatro Stabile di Torino dal 1975 al 1984, è anche pittore, incisore, scrittore e grafico. Ha collaborato e ancora collabora con riviste d’arte, di architettura e di letteratura e con diversi quotidiani.” Il suo encomiabile lavoro gratifica il lettore accidentale.

Creatura di Sabbia ha come tema la condizione femminile nei paesi musulmani, ma sarebbe riduttivo limitare Ben Jelloun a questa pur importante posizione. Così inizia il capitolo secondo:

“Amici del Bene, sappiate che siamo riuniti da parole segrete su un percorso circolare, forse su un bastimento, per una traversata della quale non conosco l’itinerario. Questa storia ha qualche cosa della notte; è oscura e cionondimeno ricca di immagini; dovrebbe aprirsi su una luce debole e dolce; quando arriveremo all’alba saremo lasciati liberi, saremo invecchiati di una notte, lunga e pesante, un mezzo secolo e alcuni fogli bianchi sparpagliati sul cortile di marmo bianco della nostra casa dei ricordi.”

 

Il fascino del mondo arabo, l’odore del deserto, i suoni dell’immaginazione, sono solo traviamenti del preconcetto. Il lettore deve allontanare ogni tentazione d’assimilare e associare al romanzo le sembianze da “mille e una notte”. Ben Jelloun è forse più francese che nordafricano, il suo modo di scrivere – e la traduzione di Volterrani – sono semmai lo specchio di quei preconcetti poc’anzi accennati. Il rimando del rimando, o il Ritorno!

La lettura procede per vie quasi oniriche, di sensazioni istintuali, nel tentativo di afferrare la voce del libro, dei personaggi del libro:

“Mi dica se sbaglio. Non ha mai cercato lei di indovinare la voce di una persona assente, un filosofo, un poeta, un profeta? … Quando leggo un libro mi diverto ad ascoltare la voce dell’autore.”

Sarà un caso che una macchia di vino segna la pagina, a suggello di un mio interesse bacchico, forse delirante? Solo quando i miei occhi giungono al Capitolo diciassettesimo “Il trovatore cieco”, capisco che non di Caso può trattarsi, ma di cospirazione. Non andrò avanti di una sola riga, oltre quella già intrapresa intendo, nella descrizione di questo mistico libro. Le poesie non si raccontano!

Gaetano Celestre


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