Rimandare o non rimandare? Questo è il problema

Da Quipsicologia @Quipsicologia

Posso rimandare, tanto non cambia niente. Sì, lo faccio domani sono parole che tutti abbiamo detto almeno una volta nella vita. Per alcune persone il rimandare al giorno dopo e a quello dopo ancora è però un’abitudine talmente radicata da diventare distruttiva e da rendere difficile agire: ad esempio, alcune persone rimandano all’infinito il lavare i piatti, il portare l’auto dal meccanico o il preparare una relazione sino a quando non si ritrovano senza un piatto pulito, con l’auto che non mette in moto o con una manciata di ore per scrivere la relazione. Queste persone diranno che rimandare è una cosa più forte di loro e che, democraticamente, rimandano non solo le cose spiacevoli e noiose ma anche attività belle, ad esempio fare una telefonata per organizzare una vacanza.

Rimandare perché?

I motivi per cui scegliamo di rimandare sono tanti. Pensiamo che ci sia tempo o che ci siano altre cose da fare. O che per fare quella tale cosa dobbiamo essere dell’umore adatto o simili: l’attesa di questo momento perfetto potrebbe però essere vana e il momento perfetto in cui ci sentiamo pronti non arrivare mai. Soprattutto perché questo momento perfetto è una nostra sensazione interna.

Ancora, scegliamo di rimandare se pensiamo di non essere in grado di fare quella data cosa, se vogliamo farla al meglio o vogliamo essere certi di fare bella figura e di non ricevere critiche da chicchessia. Questioni legate al perfezionismo e all’autostima. Un esempio è lo studente universitario che rimanda continuamente la sessione in cui sosterrà l’esame perché vuole essere davvero preparato e certo di superarlo: rimandare può però portare al risultato paradossale di dare troppa importanza all’esame e di sentirsi sempre più insicuri e ansiosi.

Ci sono poi le persone che preferiscono rimandare perché vogliono rimanere in uno stato di sospensione ed evitare di prendere decisioni. Queste persone preferiscono non assumersi la responsabilità di una scelta.

Vita adulta e responsabilità

Il legame tra rimandare e rifiuto delle responsabilità è molto articolato e chiama in causa l’essere persone adulte.

A volte la tendenza a rimandare deriva infatti dal conflitto tra dovere e piacere, dal conflitto tra l’essere persone adulte che devono portare avanti degli impegni e assumersi responsabilità e l’essere dei bambini che vogliono fare soltanto quello che desiderano e nell’esatto momento in cui lo desiderano. Freud parlava di principio di piacere che, man mano che si cresce, si armonizza e cede il passo al principio di realtà. Da questo punto di vista, non riusciamo a rinunciare al soddisfacimento che ci viene da attività piacevoli come andare al cinema con gli amici o lo stare su Facebook e rimandiamo a domani ciò che sappiamo avremmo dovuto fare oggi.

Ci sono però anche persone che rimandano di fare qualcosa senza dedicarsi a chissà quali attività ricreative; magari già il decidere di rimandare dà loro sollievo. In quest’altra tendenza a rimandare gioca forse una parte importante il modo in cui queste persone intendono la vita adulta: compiti e responsabilità che soffocano la loro identità, regole che ingabbiano la loro creatività. Per loro, rimandare è il tentativo di sottrarsi a richieste che sentono non in sintonia con la maniera in cui pensano di essere, un atto di ribellione. Rimandare permette di difendere se stessi e di non piegarsi a volontà esterne. È però un atto di ribellione infelice, dato che le cose prima o poi bisogna farle, e una soluzione più equilibrata sarebbe scendere a patti con la realtà e rinunciare almeno un po’ al sogno di una vita naturale e spontanea che non preveda disciplina o impegno, routine o struttura esterna. Non solo una vita del genere non credo possa esistere ma, se anche esistesse, sarebbe una vita piena di sé ma vuota degli altri.

Photo credit: arztsamui


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