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Rimanere genitori oltre il legame coniugale
Creato il 15 gennaio 2015 da Massimo Silvano Galli @msgdixit"Non è difficile diventare padre. Essere un padre: questo è difficile.”. Così scriveva Wilhelm Busch, sottolineando la differenza tra diventare genitori, evento naturale nel ciclo vitale e: essere genitore, che, invece, è proprio un’altra cosa -ovviamente, anche per le madri.
Essere genitore significa presenza e costanza, affetto e dedizione, rispetto e accudimento, ma anche: capacità di distacco, di generare indipendenza e far sperimentare la frustrazione della caduta, la fatica dei desiderio da concretare con le proprie forze.
Avete presente i personaggi della Marvel? Ecco, diciamo che ogni genitore dovrebbe essere per il proprio figlio uno strano “supereroe” che mentre lo protegge da tutti i pericoli, al contempo ai pericoli lo espone, con saggezza, affinché capisca, senza che si faccia "troppo male"; insomma: un modello a cui fare riferimento per costruire la propria identità di soggetto autonomo e il più possibile capace di determinare il mondo.
I genitori, dunque, consentono (dovrebbero consentire) al proprio figlio di sperimentare e sperimentarsi come individuo che vale. Questa conquista rappresenta il più grande dono che una persona possa ricevere, la più grande risorsa per affrontare la vita. E un figlio ha bisogno di ricevere questo, sempre, anche (e forse a maggior ragione), quando i genitori sono separati.
Tuttavia, molti genitori nutrono la profonda convinzione che offrire una famiglia in ogni caso, a qualunque costo, sia la scelta più giusta per i propri figli. Niente di più sbagliato. Ci sono genitori che vivono sotto lo stesso tetto, ma così lontani nel cuore e nella mente da essere più un danno che un dono; e ci sono -invece- genitori che, pur separati, incarnano davvero quell'occasione di sana crescita che ogni figlio dovrebbe avere, proprio perché gli ex-coniugi, insieme, scelgono di continuare a essere genitori, anche se in un modo diverso.Purtroppo, non sono rari i casi in cui i genitori si convincono che la miglior cosa da fare per i propri figli sia proprio quella di rimanere insieme e, nonostante i litigi e le incomprensioni, si obbligano in tal senso.
Le conseguenze di questa vera e propria ideologia, non sono tuttavia da sottovalutare.
Primo perché, per quanto ci si sforzi, i figli vengono sempre (consapevolmente o meno) coinvolti nei conflitti dei genitori, fosse solo per la tensione emotiva che si respira in un ambiente dove manca l'armonia e che, volenti o nolenti, investe gli astanti estranei al conflitto in complessi ruoli che la fragilità di un bimbo in crescita non può sostenere.
In secondo luogo, perché, ci sono insegnamenti che non hanno una configurazione diretta ed esplicita, ma passano dall'incontrovertibile sapere dei gesti, degli sguardi, di quel mondo della comunicazione e delle relazioni che decliniamo sotto l'etichetta di "non verbale". Cosa insegneranno, dunque, due genitori che non si baciano, che non si abbracciano, che non si cercano, che non si desiderano che, anzi, magari si scherniscono, si svalutano, quando non fanno di peggio? Non è forse il più grande delitto che un genitore possa commettere insegnare al proprio figlio l'infelicità? Non è forse il più grande delitto che un genitore può commettere insegnare al priorità figlio che si può vivere insieme a un uomo o a una donna che non si ama, che magari nemmeno si stima che, a volta, persino, si disprezza?
L'amore, per il coniuge o per i figli, poco importa, è anzitutto un'energia potente, capace di manifestare tutta la sua vitalità come (quando manca laddove dovrebbe esserci) tutta la sua mortificazione. La mediazione famigliare si presenta, allora, come un'occasione fondamentale proprio per quei genitori che vivono la tentazione di restare insieme nonostante tutto, per accompagnarli a comprendere i pericoli di questa soluzione insieme alle molteplici modalità di amare i propri figli anche da separati, anche da lontano e, forse, seppur in modo completamente diverso, di tornare ad amarsi come genitori.
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