Rimbaud e i suoi doppi

Creato il 25 febbraio 2010 da Efestione76
Esce per "minimum fax" la biografia del leggendario poeta ad opera di Edmund White, uno degli intellettuali gay contemporanei più amati. Un viaggio tra le contraddizioni di una vita irripetibile.
Lo sapeva anche lui: “Je est un autre” (“Io è un altro”) scriveva un Arthur Rimbaud diciassettenne all'amico Paul Demeny. L'apparente paradosso conteneva in sé i germi dell'approccio visionario che farà di lui uno dei principali innovatori del linguaggio poetico di tutti i tempi, ma è anche un'efficace chiave di lettura per comprendere, nei limiti del possibile, una parabola esistenziale che ancora oggi presenta più di un aspetto oscuro. La doppia vita di Rimbaud cui allude il titolo del libro è in realtà la storia di molteplici duplicità. Innanzitutto quella più nota e strettamente biografica: la dirompente produzione poetica del ragazzo delle Ardenne si concentrò in un arco di tempo brevissimo, chiudendosi in maniera irreversibile all'età di soli 21 anni. Rimbaud passò il resto dei suoi giorni (pochi, morì trentasettenne) a vagare per l'Africa da avventuriero, adoperandosi in molti mestieri improvvisati, tra cui il raccoglitore di caffè e il mercante d'armi.
Prima ancora di questa cesura cruciale, tuttavia, ci fu lo sdoppiamento tra il Rimbaud di provincia, studente modello, taciturno e un po' oppresso dalla famiglia (in realtà soprattutto da una madre estremamente severa e religiosa) e l'adolescente inquieto, ribelle, sboccato, blasfemo, che sfogava le ansie esplorative e le velleità bohémien in ripetute fughe dalla noia domestica. Quando poi questo Rimbaud istintivo, dedito al vagabondaggio e allo sregolamento dei sensi, prese il sopravvento, lo fece sviluppando a sua volta una controparte contraddittoria: quella dell'intellettuale ambizioso, calcolatore, a tratti spregiudicato, capace tanto di abbrutirsi e perdersi nel flusso dei giorni quanto di riparare puntualmente presso la sicurezza della casa materna, con la coda tra le gambe, ogni qualvolta i soldi finivano o i guai superavano il limite di guardia.
E c'è infine il binomio omosessuale/eterossuale, all'epoca assai meno codificato e netto che al giorno d'oggi. L'opera di Rimbaud, specie agli inizi, è piena di riferimenti anche molto sentiti alla passione per le donne, ma è indubbio che fu il rapporto con il poeta Paul Verlaine a segnare maggiormente la sua vicenda umana e artistica. Un rapporto intenso e a tratti isterico, carnale, torbido, crudele, violento, errante (Parigi, Bruxelles, Londra), che alimentò dal profondo la produzione poetica di entrambi, affiorandovi con frequenza. Verlaine, talentuoso ma intrinsecamente debole e sottomesso, vide nel giovane genio il veicolo attraverso cui dare sfogo per interposta persona alla propria ribellione, sempre frenata dalle aspirazioni alla stabilità borghese. Rimbaud si servì del rapporto con l'intellettuale già affermato anche per perseguire le proprie ambizioni personali, ma non solo: lo scelse, caso unico nella sua vita, come compagno di viaggio e di creazione, e vi fu legato con una profondità emotiva e artistica da cui è impossibile prescindere nell'analisi della sua opera.
Edmund White torna a cimentarsi con la biografia di un autore fondamentale (dopo Jean Genet e Marcel Proust), tra quelli più capaci, nel corso del tempo, di continuare ad alimentare suggestioni. Sul fronte biografico, e attraverso un sapiente intreccio di fonti, White riesce a allentare la compressione prospettica che caratterizza, semplificandola, l'immagine iconica di Rimbaud, restituendo un ritratto tridimensionale quotidiano e intimo, collocato con precisione su uno sfondo storico e culturale tumultuoso, quello dell'occupazione prussiana della Francia, della Comune di Parigi, del Parnassianesimo. E' un testo agile e appassionante, che accanto alla ricostruzione biografica riesce a immergersi nell'analisi dei testi con notevole profondità, fornendo chiavi d'accesso anche alle fasi meno accessibili.
Edmund White, “La doppia vita di Rimbaud”
Traduzione di Giorgio Testa
minimum fax, pp. 186


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