Roma 4 marzo 2014
Poi che ‘l mio casto amor gran tempo tenne
l’alma di fama accesa, ed ella un angue
in sen nudrio, per cui dolente or langue
volta al Signor, onde il rimedio venne,
i santi chiodi omai sieno mie penne,
e puro inchiostro il prezioso sangue,
vergata carta il sacro corpo exangue,
sì ch’io scriva per me quel ch’Ei sostenne.
Chiamar qui non convien Parnaso o Delo,
ch’ad altra acqua s’aspira, ad altro monte
si poggia, u’piede uman per sé non sale;
quel Sol ch’alluma gli elementi e ‘l Cielo
prego, ch’aprendo il Suo lucido fonte
mi porga umor a la gran sete equale.
Quando vedrò di questa mortal luce
l’occaso, e di quell’altra eterna l’orto,
sarà pur giunta al desiato porto
l’alma, cui speme ora fra via conduce,
e scorgerò quel raggio, che traluce
sin dal ciel nel mio cor, del cui conforto
vivo, con occhio più di questo accorto
com’arde, come pasce e come luce.
Soave fia il morir per vivere sempre,
e chiuder gli occhi per aprirgli ognora
in quel si chiaro e lucido soggiorno!
Dolce il cangiar di queste varie tempre
col fermo stato! Oh quando fia l’aurora
di così chiaro aventuroso giorno?
A domani
Lié Larousse