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RIMINI. Pazienti ed esperti si interrogano sui similari: occorre più informazione tra operatori sanitari e cittadini.
Creato il 06 novembre 2015 da Agipapress
RIMINI. E’ iniziato
ieri e prosegue fino a domenica 8 novembre il congresso nazionale dei medici
endocrinologi: uno dei temi al centro del dibattito è il corretto uso dei
biosimilari che secondo una indagine di Cittadinanzattiva, il 41% degli
italiani non sa cosa siano.
I farmaci
biologici, ovvero prodotti a partire da cellule viventi, hanno rivoluzionato la
medicina rappresentando una speranza per i milioni di pazienti affetti da
malattie invalidanti e croniche come artrite, psoriasi, cancro, patologie
renali. Diversi sono gli impieghi in ambito endocrinologico per patologie quali
il diabete e disturbi legati alla crescita.
“In Italia l’utilizzo di questa classe di farmaci non è
ancora molto diffuso, il nostro Paese si posiziona dopo Polonia e Spagna: meno
del 20% dei pazienti interessati utilizza un biosimilare al posto
dell’originator - spiega Dominique Van Doorne,
Responsabile AME Patients Advocacy e Progetto EUPATI (European Patients'
Academy on Therapeutic Innovation -. Attualmente i biosimilari approvati in
Italia sono tre: epoteina e filgrastim che sono stimolatori della
proliferazione di globuli bianchi e rossi, e somatotropina più noto come ormone
della crescita.
I farmaci biosimilari, come i farmaci biologici originatori,
presentano una variabilità di sintesi perché all’interno dello stesso ciclo
produttivo nessuna molecola è mai perfettamente identica ad un’altra. In pochi
sanno che si usa un comparability test, introdotto non per comparare un
biologico ad un biosimilare, ma un biologico con un altro biologico. I
biosimilari devono dimostrare, con studi clinici appropriati, di avere un
profilo di sicurezza ed efficacia simile al farmaco di riferimento.
Da una ricerca del 2014 da Cittadinanzattiva su un campione
di 619 pazienti con patologie croniche, solo il 9% dei pazienti è a conoscenza
della differenza tra i farmaci biologici e biosimilari. La maggioranza (oltre
il 41%) non sa cosa sia un biosimilare e il 13,8%, invece, ritiene erroneamente
che sia il generico del farmaco biologico di riferimento. Circa il 30% sa che
il farmaco biologico ha origine da una fonte biologica; ben il 38,6% non sa con
certezza se il farmaco che sta assumendo sia biologico o biosimilare.
“Uno studio pubblicato a maggio sull’American
Health & Drug Benefitssul
valore percepito dei farmaci biosimilari, conferma la grande difficoltà da
parte dei pazienti di comprendere la differenza di caratteristiche tra
biologico e biosimilare e, di conseguenza, se sia possibile passare dall’uno
all’altro” - affermaDominique
Van Doorne -. Su un campione di 3.214 pazienti affetti da
diabete mellito di tipo 1 e di tipo 2 è risultato che il 4% non userebbe mai un
biosimilare e il 13% degli intervistati preferirebbe non utilizzarlo. Tra le
motivazioni addotte esperienze non soddisfacenti con farmaci generici nel
passato, mancanza di fiducia nei farmaci generici, fidelizzazione ad un certo
tipo di insulina, precedenti reazioni allergiche, incertezza rispetto alla
comparabilità di efficacia e sicurezza. Spesso è solo grazie al confronto con
il medico di riferimento che la persona comprende appieno e accetta il nuovo
farmaco. Le stesse problematiche sono state riscontrate con l’introduzione dei
farmaci generici”.
“Non siamo contrari ai farmaci biosimilari ma chiediamo
all’AIFA di garantire una stretta sorveglianza dei biosimilari - affermaCinzia Sacchetti presidente
AFADOCAssociazione
di famiglie di soggetti con deficit Ormone della Crescitae altre patologie -. Siamo consapevoli che
l’uso dei biosimilari porterà ad un risparmio di risorse sanitarie ma chiediamo
che questo non avvenga a scapito della qualità e dei profili di efficacia e
sicurezza dei farmaci per i nostri figli”.
“Il contributo alla sostenibilità del sistema sanitario
legato alla disponibilità di farmaci biosimilari - prosegue la Sacchetti - deve
essere valorizzato con il coinvolgimento di istituzioni, aziende farmaceutiche,
società scientifiche e associazioni pazienti e questo potrà essere fatto
migliorandone la conoscenza. Il farmaco biosimilare sarà uno dei capitoli di un
corso europeo, disponibile dal 2016, rivolto ai pazienti sulla ricerca e
sviluppo dei farmaci. Il progetto EUPATI è unico nel suo genere perché
permetterà ai pazienti di essere cittadini consapevoli, critici, costruttivi e
attivi in tutte le fasi della ricerca e della sorveglianza dei farmaci” precisa
la Dottoressa Van Doorne.
“Infine è essenziale una stretta collaborazione tra tutti i
protagonisti del percorso assistenziale e le varie società scientifiche e enti
di ricerca. Un ottimo esempio è il Progetto Farmagood-Biosimilari dell’Istituto
Mario Negri che, coerentemente con gli obiettivi Regionali in termini di
appropriatezza prescrittiva e razionalizzazione delle risorse si propone di
costruire, in un percorso concordato e condiviso con i diversi operatori del
Servizio Sanitario Regionale, un complesso di attività/interventi atti a
promuovere l’appropriatezza dei percorsi di cura e la razionalizzazione delle
prescrizioni dei medicinali biologici “originatori” e “biosimilari”; monitorare
il profilo di beneficio-rischio dell’uso di questi farmaci nella pratica
clinica, ottenere risparmi e liberare risorse nella spesa farmaceutica e
sanitaria. Per tutto questo, i programmi di educazione del paziente e dei
medici alla cultura del biosimilare sono cruciali. Lo sviluppo e l’utilizzo dei
farmaci biosimilari rappresenta un’opportunità per il Sistema Sanitario
Nazionale per soddisfare una crescente domanda di salute” conclude Van Doorne.
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