Il canonico Pacetto, scrivendo all’incirca nella seconda metà dell’ottocento, poneva dei dubbi sulla presunta esistenza in tempi remoti, di una chiesa intitolata a Santa Maria della Pietà, sommariamente identificata dal Perello in un’antica chiesetta preesistente all’attuale S. Maria (per l’appunto) La Nova. Le perplessità nascevano dalla lettura di certi “studiati” cenni inseriti dal notaio Terranova (confrate di S. Maria La Nova) nel contesto di atti risalenti al 1537, scaturiti da qualche riunione di confrati appartenenti a questa ultima menzionata ecclesia. L’inserzione, in quello che in effetti doveva essere un mero atto di procura, era stata probabilmente ideata e congegnata al fine di attestare una certa vetustà alla fondazione di detta Nova Chiesa e alla stessa Confraternita.
Alcuni clamorosi esempi in letteratura sono ravvisabili nelle descrizioni genealogiche degli eroi omerici; o nei passi di Matteo e Luca ove si trascrive la discendenza di Gesù da Abramo; e anche nel Canto Quinto del Furioso, quando all’interno della grotta di Merlino è la maga Melissa a profetizzare a Bradamante la ventura discendenza estense (in questo caso lo sguardo alla genia è proiettato verso il futuro e non il passato, ma le ragioni sono le medesime).
Gli atti della confraternita di S. Maria La Nova riportavano notizia che il Beato Guglielmo, eremita, prestava servizio di sagrista nella antecedente S. Maria della Pietà e su questo il Canonico Giovanni Pacetto affermava i suoi plausibili dubbi. Infatti, la leggenda vuole che il corpo del beato Guglielmo, al momento della morte, fosse stato sistemato su un carro e lasciato vagare sin dove la bestia ne avesse avuto voglia con l’unico termine dell’arbitrio Provvidenziale. Provvidenza che poi “prese fiato”, casualmente, alla fine dell’erta che conduce al sagrato della Matrice di San Matteo. Appare logico al Pacetto (“associato” dell’opposta Confraternita di San Bartolomeo) che se Guglielmo Cuffitella davvero avesse prestato servizio di sagrista presso la chiesetta di S. Maria della Pietà, allora non ci sarebbe stato alcun motivo di cercare ulterior luogo per dimora dei suoi resti mortali. E i dubbi sono così legittimi che ancora oggi, negli opuscoletti stampati a scopo “turistico”, quella che dovrebbe essere la statua marmorea di S. Maria della Pietà, viene citata qual Madonna della Neve. Nei fatti l’antica statua del 1496, raffigura una Madonna con Bambino. L’appellativo, l’ad nives, si riferisce al miracoloso fatto romano (S. Maria Maggiore) del 5 Agosto 352 d. C. e tale denominazione, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non ha paternità nella devozione mariana di matrice più popolare, bensì nella confusione generata dal fatto che la Santa Sede, nel momento in cui a livello locale sorgeva una nuova devozione mariana, in mancanza di altri appellativi e specifici titoli della Santa Vergine, consentiva di volta in volta a celebrar messa e recitare l’ufficio della B. V. Maria ad nives. In effetti, sul basamento della bella statua, sono effigiate scene della natività di Maria, culto ancora oggi molto sentito e anticamente indicato quale festività più importante da riferire alla Chiesa di S. Maria La Nova (8 Settembre, Maria Bambina). Ma questi dati, piuttosto che far chiarezza, confondono chi già pone fede nei dubbi del Pacetto. Ciò perché, anche solo da un punto di vista logico e di assonanze lessicali, la “novità” della chiesa e la “natività” di Maria, hanno certamente più cose in comune, che non con la “pietà”. Queste sono comunque discussioni da esperti, quale io non posso ritenermi di essere. Ciò che mi colpisce è la bellezza del simulacro, così superiore ad ogni altra opera successiva nel tempo. La Madonna rinascimentale è ellenisticamente divina, olimpica, fiera e distaccata dai problemi mondani, eppur specchio di un uomo che nello studio di se stesso sfiorava la divinità.
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Gaetano Celestre