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Rinascita del Giappone? Considerazioni e riflessioni geopolitiche di….

Creato il 10 agosto 2013 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

383px-Hasekura_in_RomeMichele Marsonet. Confesso di provare un certo disagio leggendo i commenti dei giornali italiani ed europei – o almeno della stragrande maggioranza di essi – circa la netta vittoria di Shinzo Abe e del suo partito nelle recenti elezioni giapponesi per la Camera Alta. Ora il premier nipponico ha una solida maggioranza in entrambi i rami del parlamento, e questo potrebbe consentirgli di realizzare in tempi brevi e senza troppi ostacoli i punti chiave del suo programma.

Si tratta, com’è noto, di un programma piuttoso controverso. Ed è pure importante notare che la preoccupazione per l’esito di queste elezioni è assai più marcata in Europa che negli USA. Gli americani hanno capito che un Giappone forte può costituire un fattore di equilibrio nello scacchiere mondiale. Invece gli europei (e in particolare gli italiani) preferiscono sottolineare i rischi della possibile rinascita della potenza giapponese.

Il fatto è che Abe punta su alcuni fattori che, secondo la vulgata corrente, sono l’antitesi del “politically correct”. Innanzitutto l’immissione massiccia sul mercato di cartamoneta. Tale fatto indebolisce lo yen e aumenta in misura considerevole l’inflazione, ma consente pure di rilanciare le esportazioni e, in generale, l’intera economia. D’altra parte i giapponesi non sono legati al carro di una federazione sovranazionale e possono fare ciò che vogliono con la loro valuta.

Inoltre Abe non ha esitato a rilanciare il nucleare nonostante il disastro di Fukushima. E la gente lo ha seguito. L’arcipelago nipponico – proprio come la penisola italiana – è pressoché privo di materie prime. E’ meglio dipendere in toto dall’estero per le forniture energetiche oppure correre i rischi che le centrali nucleari comportano? Arduo quesito, senza dubbio. I giapponesi hanno opinioni opposte a quelle degli italiani in questo caso. Forse per la presenza di uno spirito nazionale che la sconfitta nella seconda guerra mondiale non ha mai spento. Da noi, dopo la medesima sconfitta, quello spirito è addirittura evaporato, e per trovarne le tracce bisogna usare il lanternino.

Il primo ministro giapponese non ha nascosto la volontà di cambiare in maniera sostanziale la Costituzione, che fu scritta e imposta dagli Stati Uniti al fine di scongiurare la rinascita del militarismo. Ma, si sa, i tempi cambiano, e il 2013 non può essere equiparato al 1945. Negli ultimi decenni il Giappone ha visto crescere a dismisura la potenza economica e militare della Cina, ha subito la concorrenza commerciale delle nuove “tigri asiatiche” come la Corea del Sud, e ha assistito impotente al lancio dei missili nordcoreani avendo quale unica protezione l’ombrello USA.

A conti fatti Abe, e la grande maggioranza dei giapponesi con lui, si sono accorti che una Costituzione pacifista in modo così unilaterale non serviva più in uno scacchiere totalmente rinnovato e turbolento come quello dell’Asia attuale. Di qui il proposito di impostare una nuova politica di difesa rinnovando e potenziando le forze armate. E in questo campo il Giappone, come tutti sanno, vanta tradizioni solide e secolari. Fu il primo Paese asiatico in grado di sconfiggere una grande potenza europea come l’impero zarista. Nazione relativamente piccola, riuscì in breve tempo a occupare buona parte dell’immensa Cina (anche se allora era ben diversa da quella odierna). E i suoi soldati dilagarono in seguito nell’intera Asia, fermati infine dalla potenza americana solo a prezzo di enormi sforzi e grazie all’uso della bomba atomica.

Ma un altro fatto va notato. La sconfitta militare non ha mai annientato lo spirito nazionale, e chiunque abbia avuto modo di visitare Cina e Giappone sa quanto siano diversi i due popoli. Grandi e cordiali commercianti i cinesi, riservati e piuttosto impermeabili all’influenza esterna i giapponesi. A Pechino le indicazioni stradali riportano quasi sempre la traduzione inglese, a Tokyo molto più raramente (con l’eccezione degli aeroporti).

Tanti in Occidente e in Asia si sono scandalizzati per le visite di Abe e dei suoi predecessori al santuario shintoista di Yakusuni, nel quale sono sepolti i soldati dell’esercito imperiale caduti nei vari conflitti. Tra essi anche molti classificati come criminali di guerra e a volte giustiziati come tali. Ora cresce la stanchezza nell’opinione pubblica per questo continuo ricordo del passato imposto dai vincitori. Si preferisce sottolineare che le visite al santuario altro non sono che un omaggio dovuto alle anime dei soldati morti per la patria.

Dal nostro punto di vista il Giappone è un Paese difficile da capire. Tuttavia il suo rientro nello scenario mondiale, e non solo sul piano economico come finora è avvenuto, può essere un punto di svolta nelle relazioni internazionali. A fronte della Cina in crescita esponenziale e degli USA che praticano una politica estera piuttosto incerta, la rinnovata presenza nipponica è in grado di riequilibrare un quadro che appare allo stato attuale piuttosto caotico. Senza dimenticare Pearl Harbor, è opportuno valutare i vantaggi di un nuovo multipolarismo in Asia e nel mondo.

Featured image, il samurai Hasekura Tsunenaga, primo ambasciatore ufficiale giapponese alle Americhe e Europa, nel 1615.


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