Devo molto
a quelli che non amo.
Il sollievo con cui accetto
che siano più vicini a un altro.
La gioia di non essere io
il lupo dei loro agnelli.
Mi sento in pace con loro
e in libertà con loro,
e questo l’amore non può darlo,
né riesce a toglierlo.
Non li aspetto
dalla porta alla finestra.
Paziente
quasi come una meridiana,
capisco
ciò che l’amore non capisce,
perdono
ciò che l’amore mai perdonerebbe.
Da un incontro a una lettera
passa non un’eternità,
ma solo qualche giorno o settimana.
I viaggi con loro vanno sempre bene,
i concerti sono ascoltati fino in fondo,
le cattedrali visitate,
i paesaggi nitidi.
E quando ci separano
sette monti e fiumi,
sono monti e fiumi
che trovi su ogni atlante.
È merito loro
se vivo in tre dimensioni,
in uno spazio non lirico e non retorico,
con un orizzonte vero, perché mobile.
Loro stessi non sanno
quanto portano nelle mani vuote.
«Non devo loro nulla» -
direbbe l’amore
sulla questione aperta.
Wislawa Szymborska (Grande numero, 1976)
Avevamo promesso un bis di Szymborska e questo ringraziamento che sonda i contraddittori misteri di un apice amoroso cade per caso alla vigilia di un giorno in un cui si celebrerà l’importanza di un altro grande polacco: Karol Woityla, domani beato. La gratuità reciprocamente percepita è il tratto fondamentale dell’amore inteso come agàpe: sentore di fratellanza profonda, vera amicizia, condizione spirituale, grazia d’impronta divina. Quel divino che nell’uomo sviscerare è spesso prerogativa della poesia. (Marco Bisanti)
< La Metafora viva!
< Lode della cattiva considerazione di sé (W. Szymborska) – Lavandare (G. Pascoli) >