R. De Montilcelli – Sull’idea di rinnovamento Raffaello Cortina Editore
È da poco uscito per Raffaello Cortina Editore il saggio Sull’idea di rinnovamento. Il cuore di una svolta che può cambiare l’Italia della filosofa Roberta De Monticelli. Un’indagine sul senso del termine rinnovamento – talmente abusato da aver perso di significato – una chiave per ripensare se stessi, punto di partenza per concorrere alla costruzione di una svolta per il nostro Paese.
Il tutto si gioca attorno alla questione “dei nessi fra rinnovamento civile di una società e rinnovamento morale di ciascuno. Fra la speranza civile (…) e la speranza che ci tiene in vita come persone – o che ci manca, invece, e ci fa mancare di vita”[1]. Da qui lo spunto per una riflessione profonda, volta a scuotere le coscienze. Coscienze che oggi all’autrice appaiono narcotizzate, drogate dalla banalità. Una forma di dipendenza che paralizza in uno stato di rassegnazione all’impotenza. Sono indicatori di questo malessere alcuni fenomeni quantificabili come l’astensionismo, o i vari tassi di sfiducia nei confronti di istituzioni, politici e partiti registrati dai sondaggi. Completano il quadro altre manifestazioni, più sfuggenti in termini numerici, ma comunque evidenti, enucleabili in una sola affermazione: il qualunquismo.
Ma chi pensasse di leggere nel saggio ragionamenti su temi e questioni specifici dell’oggi si sbaglia. La strada descritta conduce ben oltre la dimensione del presente, e in queste pagine si ritrova giusto qualche accenno a realtà come il Movimento 5 Stelle. De Monticelli ragiona piuttosto intorno alla vita della sensibilità e muove le proprie considerazioni affermando la necessità di un profondo ripensamento interiore per riappropriarsi del senso critico, ed esercitarlo in modo efficace sul piano collettivo. Un’esortazione alla riscoperta della capacità di ragionare criticamente.
L’autrice mette in guardia dalla deriva di indifferenza verso cui sono orientate le coscienze nel nostro presente, richiamando il passato tragico dell’Europa. Un richiamo fin troppo efficace, reso attraverso il pensiero di intellettuali quali Nelly Sachs, Anna Harendt e Max Picard, giusto per citarne alcuni, e attraverso l’immagine di una città quale Berlino che cerca di fare i conti con la propria storia e con le proprie coscienze, passate e presenti.
Ad accomunare tristemente quel periodo all’attuale, ciò che De Monticelli chiama fenomenologia della banalità: “dove non c’è tempo per il lento rendersi conto di ciò che la cosa chiedeva [richiamo all’ascesa di Hitler in Germania, ndr]; (…) dove non c’è pienezza di sentire e volere, di volere e agire. Non c’è crescita del pensiero, non c’è uso strutturato del linguaggio. Là non c’è crescita della persona che esperisce. Là tutto si scarica rapidamente in quattro stereotipie o due chat”[2].
Con il riferimento alla rete, l’autrice mette un altro tassello significativo e rafforza il parallelismo con la Germania di allora. Il web oggi rappresenta un nuovo incredibile macchinario dell’istantaneo, definizione formulata da Picard (Hitler in noi stessi, 1947)[3] per i mass media dell’epoca. Con le dovute differenze tecniche e tecnologiche, gli esiti sono gli stessi: anestetizzare le coscienze spostando più in là rispetto a noi la percezione piena e profonda delle informazioni. Oggi basta un click, un mi piace, e si alimenta il fiume del consenso – verso qualsiasi cosa o persona – senza troppa consapevolezza, o comunque con scarsa partecipazione critica.
Tutto questo fa da sfondo alla profonda crisi dell’informazione nel nostro Paese. Il quarto potere sembra aver abdicato alla funzione di verifica e filtro delle notizie; è messo sotto scacco dalla rete. La legge del microfono aperto sempre e comunque penalizza lo spettatore perché lo rende ancor di più un inerte ricettore dell’altrui pensiero, senza che vi sia un’informazione correttiva capace di compensare il potenziale corrosivo di dichiarazioni fuorvianti, pretenziose, o semplicemente parziali.
In conclusione: se l’individuo è stretto tra dimensione individuale e sfera della collettività, se il ripensamento interiore può – e deve – portare all’auspicato rinnovamento individuale, quello collettivo sembra essere impossibile, o quasi. A questo proposito De Monticelli sostiene: mai delegare la facoltà di intelligere ad un “noi”; perché quando questo avviene si formano masse amorfe in cui si ha solo l’illusione di essere protagonisti. Diverso è invece quando più soggetti si ritrovano per confrontarsi sulle cose, perché solo quando la dimensione di collettività si alimenta nella ricerca dialettica e nella ricerca ontologica di verità allora si costruisce rinnovamento. Quello vero.
[1] R. De Monticelli, Sull’idea di rinnovamento. Il cuore di una svolta che può cambiare l’Italia, Raffaello Cortina Editore, p. 12.
[2] R. De Monticelli, Sull’idea di rinnovamento. Il cuore di una svolta che può cambiare l’Italia, Raffaello Cortina Editore, p. 31.
[3] Ibidem, p. 33
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