Rinnovo CCNL : un tavolo di trattativa per molti, ma non per tutti.
Il rinnovo del contratto non è ancora possibile.
Come volevasi dimostrare a luglio, guarda caso nel periodo più morto per qualsiasi settore, siamo tutti chiamati malignamente all’appello per lo sforzo maggiore. E L’ulteriore comunicato che prima recitava “positivi passi avanti” si trasforma con le giornate del 4 e del 5 luglio in “insufficienti passi avanti”, tre parole queste che non sono altro che la maldestra parafrasi di una sola parola : “Stallo”.
Che non ci fossero le condizioni economiche già lo sapevamo. Ma che non ci fossero nemmeno le condizioni coordinative che potessero almeno consegnarci un periodo di trattativa risolutoria – come auspicato dal documento ufficiale scaturito dall’incontro al MIBAC di fine giugno – questo proprio speravamo di non doverlo vedere ancora. E invece…
Le proposte che i sindacati dovranno ufficializzare entro l’11 luglio ad Ornaghi attraverso un documento conclusivo ( l’ennesimo documento sedicente “conclusivo”, l’ennesimo che tenta disperatamente di metter giù una bozza unitaria d’intenti dopo l’ulteriore snervante coordinamento di sigle ) andranno incontro a tre grandi ostacoli:
1) la ricerca di un metodo possibile per disinnescare gli effetti economici nefasti del regime di legge 100 dato dallo sforamento del periodo utile per firmare il CCNL
2) l’assenza di condizioni economiche adeguate a firmare un rinnovo contrattuale risolvibile solo con un accordo straordinario col Ministro
3) l’assenza in sede di trattativa di una controparte completamente rappresentativa tutte le Fondazioni .
Se infatti fin qui si era sempre detto che ciò che veramente mancava al tavolo fossero tecnici preparati da parte di ministero e sovrintendenze , ora che questi sembravano esserci almeno in parte (Anfols in primis) è la stessa controparte dei lavoratori ad andarsene, a non partecipare più .
Nella foto del 5 luglio postata su questa pagina, quella che raffigura i nazionali in una saletta un po’ buia, seduta in platea appare tutta gente ancora sostanzialmente garantita perché facente parte di Fondazioni più o meno ancora in discreta salute (compreso il sottoscritto che l’ha scattata). Firenze, Cagliari, Bologna, Bari, le Fondazioni sofferenti, non le troverete: esse sono altrove, sfinite, sfiduciate e rassegnate a condurre tutta una loro personale battaglia di sopravvivenza.
Penso alla recente vicenda della Scala dove tre sigle sindacali su quattro hanno aperto trattativa di secondo livello, pur avendo perso il referendum in merito, con la complicità della sovrintendenza. Penso alla Lissner o alla Purchia che, in periodo di crisi come questo, si autogratificano di stipendi inimmaginabili (la prima più di un milione di euro l’anno) . E mi viene da credere che, purtroppo, non ce la faremo mai.
O meglio: secondo la legge naturale più brutale e meno auspicabile, solamente alcuni ce la faranno.
Personalmente ho sempre creduto che l’autonomia in questo momento fosse un valore aggiunto, uno strumento imprescindibile e addirittura auspicabile per le Fondazioni che abbiano risorse per sostenerla. Ma questa non può essere scissa dal perseguimento da parte di tutti di un contratto collettivo sano, che tenga ben presente il futuro del nostro settore, i tavoli interistituzionali e le leve fiscali.
Un tappeto comune che, se non ideale come lo sarebbe nei nostri sogni, sia almeno espressione di ognuno di noi e di tutte le Fondazioni : quelle che navigano in brutte acque, quelle che si barcamenano e quelle che, “siccome stanno meglio” , si fanno i fatti loro.
Carlo Putelli
(Accademia di Santa Cecilia)
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