R.I.P. lingua italiana?

Da Tabulerase

Grammatica a lutto, sintassi distrutta dal dolore, lessico affranto… I dizionari tutti danno il triste annuncio: la lingua italiana è morta, assassinata dal linguaggio degli sms e della videoscrittura, trucidata dall’ignoranza dilagante, massacrata dalle modalità comunicative dei media. Periodo di  significativi cambiamenti per la lingua italiana: la velocità di circolazione dei messaggi  attraverso sms, e-mail, chat sta mettendo  in crisi il tradizionale rapporto tra il parlato e lo scritto;  i mezzi elettronici, con le loro caratteristiche di rapidità ed immediatezza, hanno generato un nuovo stile di scrittura molto colloquiale, talmente informale da perdere di vista, a volte  in modo aberrante, regole e stile. E così si assiste ad un tripudio di consonanti mentre si dichiara guerra aperta alle vocali: cmq (comunque), qlcs (qualcosa), qlcn (qualcuno) … mentre le lettere straniere, da sempre considerate la Cenerentola dell’alfabeto, consumano  un’esemplare e perfida vendetta: ke (che), xké (perché), xò (però)…  E così saltano subito all’occhio tastiere con tasti delle consonanti miseramente consunte e quelli delle vocali gloriosamente sfavillanti; una scrittura a risparmio energetico, una comunicazione per pigri o forse semplicemente una risposta ai ritmi frenetici della vita quotidiana che lasciano poco tempo perfino  alla cura dello stile. Sorvolando sull’alfabeto e provando  a cercare conforto nell’universo della terminologia, si  attraversa un campo particolarmente insidioso. Ed ecco spuntare termini tragicamente trasfigurati in base alla provenienza geografica e così “molto” si trasforma in “un casino” nel nord Italia ed in “una cifra” al centro della penisola e termini gergali usati in passato vengono completamente soppiantati. Ad esempio  “matusa”, usato  per indicare una persona noiosa e pesante,  si trasforma in maniera figurata in  “arterio”, “fossile” o “sapiens”.

Tanti i fenomeni che investono la lingua come l’uso di suffissi  divertenti ( birrozza e paninazzo, figata e bonazzo…), l’enfasi (sei un mito, sto da Dio…) o gli internazionalismi (quicko= rapido). Ma, se una giustificazione a tali cambiamenti è in parte possibile individuarla nel bisogno tutto giovanile di far gruppo, anche  attraverso modalità comunicative comuni, adottando un linguaggio gergale che li unisca, che permetta loro di riconoscersi e comprendersi  creando spesso una distanza con il mondo adulto, è impossibile essere indulgenti di fronte ai dilaganti orrori ortografici e grammaticali che infieriscono quotidianamente sulla nostra lingua madre.  Accenti? Un mistero… Apostrofi? Un enigma. L’acca? Questa meravigliosa sconosciuta che, pur essendo muta, ormai lancia grida di disperazione. Per non parlare degli eccessi nell’ uso di punti interrogativi o esclamativi o dell’abuso dei puntini sospensivi  che hanno ormai assunto una funzione decorativa. Eppure come non ricordare la filastrocca:

“Va, sta, fa, io mai accenterò

metterò su egli dà l’accento che ci va

niente accento su qua e qui, doppio invece su là e lì”  ecc…

o la più famosa “-are, -ere, -ire l’acca fa sparire!”

 La lingua, come forma di comunicazione verbale e scritta propria di una comunità, è una struttura in continua evoluzione che muta incessantemente sulla base dei modi di vivere, di pensare, di sentire, di agire di un popolo. Non è statica, impossibile cristallizzarla perché  evolve  insieme alla stessa umanità che la utilizza e quindi essa diventa espressione del mutamento culturale e sociale in atto.

Spesso è proprio attraverso la mediazione della lingua dei giovani che sono entrate nell’italiano corrente voci ed espressioni di tipo dialettale o gergale. E così, nel nuovo Zingarelli 2012, sono stati inseriti neologismi che rappresentano lo specchio del Paese, testimonianza di mode, tendenze, ossessioni, paure, passioni che incarnano il cambiamento e l’evoluzione (o involuzione) della cultura italiana. Termini spesso acquisiti dai media che influenzano frequentemente in maniera determinante ed inconsapevole  il nostro vocabolario. Ed ecco “legalizzare” termini presi in prestito dalla politica come “celodurismo” (in riferimento al leader del Carroccio nel significato di avere gli attributi) o “velinismo” o ancora “inciucio”; dallo slang giovanile, come “fighettismo” (atteggiamento snob) o “scrauso” (scadente); dal web, come “websurfing” o “viralità” e così via.  Circa 1500 neologismi che testimoniano  che la lingua è dinamica e necessita di adattarsi ai rapidi mutamenti sociali.

Una lingua attiva e in fermento,dunque,  una lingua viva che proprio non ci sta ad assistere al suo funerale. La nostra lingua vuole vivere: non uccidiamola con la negligenza  e con la superficialità. E se proprio qualcosa deve morire, se un funerale deve essere celebrato, allora R.I.P. maledetta ignoranza.


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