Tanti i fenomeni che investono la lingua come l’uso di suffissi divertenti ( birrozza e paninazzo, figata e bonazzo…), l’enfasi (sei un mito, sto da Dio…) o gli internazionalismi (quicko= rapido). Ma, se una giustificazione a tali cambiamenti è in parte possibile individuarla nel bisogno tutto giovanile di far gruppo, anche attraverso modalità comunicative comuni, adottando un linguaggio gergale che li unisca, che permetta loro di riconoscersi e comprendersi creando spesso una distanza con il mondo adulto, è impossibile essere indulgenti di fronte ai dilaganti orrori ortografici e grammaticali che infieriscono quotidianamente sulla nostra lingua madre. Accenti? Un mistero… Apostrofi? Un enigma. L’acca? Questa meravigliosa sconosciuta che, pur essendo muta, ormai lancia grida di disperazione. Per non parlare degli eccessi nell’ uso di punti interrogativi o esclamativi o dell’abuso dei puntini sospensivi che hanno ormai assunto una funzione decorativa. Eppure come non ricordare la filastrocca:
“Va, sta, fa, io mai accenterò
metterò su egli dà l’accento che ci va
niente accento su qua e qui, doppio invece su là e lì” ecc…
o la più famosa “-are, -ere, -ire l’acca fa sparire!”
La lingua, come forma di comunicazione verbale e scritta propria di una comunità, è una struttura in continua evoluzione che muta incessantemente sulla base dei modi di vivere, di pensare, di sentire, di agire di un popolo. Non è statica, impossibile cristallizzarla perché evolve insieme alla stessa umanità che la utilizza e quindi essa diventa espressione del mutamento culturale e sociale in atto.
Spesso è proprio attraverso la mediazione della lingua dei giovani che sono entrate nell’italiano corrente voci ed espressioni di tipo dialettale o gergale. E così, nel nuovo Zingarelli 2012, sono stati inseriti neologismi che rappresentano lo specchio del Paese, testimonianza di mode, tendenze, ossessioni, paure, passioni che incarnano il cambiamento e l’evoluzione (o involuzione) della cultura italiana. Termini spesso acquisiti dai media che influenzano frequentemente in maniera determinante ed inconsapevole il nostro vocabolario. Ed ecco “legalizzare” termini presi in prestito dalla politica come “celodurismo” (in riferimento al leader del Carroccio nel significato di avere gli attributi) o “velinismo” o ancora “inciucio”; dallo slang giovanile, come “fighettismo” (atteggiamento snob) o “scrauso” (scadente); dal web, come “websurfing” o “viralità” e così via. Circa 1500 neologismi che testimoniano che la lingua è dinamica e necessita di adattarsi ai rapidi mutamenti sociali.
Una lingua attiva e in fermento,dunque, una lingua viva che proprio non ci sta ad assistere al suo funerale. La nostra lingua vuole vivere: non uccidiamola con la negligenza e con la superficialità. E se proprio qualcosa deve morire, se un funerale deve essere celebrato, allora R.I.P. maledetta ignoranza.