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Riparte il mercato del lavoro?

Creato il 11 dicembre 2015 da Fabio1983
Il mercato del lavoro italiano continua a mostrare luci ed ombre. Più ombre che luci, ma qualche segnale positivo c’è. Nel terzo trimestre di quest’anno, rileva l’Istat, l’occupazione è aumentata di 247 mila unità rispetto allo stesso periodo del 2014. Ovviamente il periodo, nel suo complesso, è più favorevole e dei miglioramenti in termini occupazionali sono stati registrati negli ultimi mesi anche nel resto dell’Eurozona sostenuti dalle politiche monetarie espansive della Bce, la risalita dei consumi, la ripresa del ciclo produttivo (non a caso è cresciuto anche il monte ore lavorate complessivo). Nell’arco dello stesso 2015 i progressi sono stati più contenuti: +42 mila occupati, un incremento cioè dello 0,2% nel terzo trimestre rispetto al precedente. Il rialzo vale un decimale in più, così il tasso di occupazione generale (15-64 anni) si attesta al 56,4%, con una risalita non trascurabile nella fascia di età tra i 15 e i 34 anni (+0,7%). Ma l’occupazione aumenta soprattutto nella fascia over 50 (per effetto della riforma Fornero sul sistema previdenziale), con una variazione positiva dell’1,3% rispetto allo stesso periodo del 2014.

Il tasso di disoccupazione, una volta per tutte
Il tasso di disoccupazione è passato dal 12,3% all’11,7% rispetto al trimestre precedente e in particolare è diminuito all’11,5% nel mese di ottobre: si ricorderanno i titoli di giornale che enfatizzavano il calo ai minimi dal 2012. Il tasso di disoccupazione non è un indicatore sempre negativo. O meglio: in mancanza di altri indicatori o altri numeri che lo sostengano, il tasso di disoccupazione in discesa non necessariamente è un evento da festeggiare. Dipende. Ad esempio nel trimestre è accaduto che dall’altro lato siano aumentati gli inattivi dello 0,7% (il tasso di inattività è cresciuto dello 0,3%), spiegando almeno in parte il calo del tasso di disoccupazione. Il tasso di disoccupazione considera il numero di persone che cercano lavoro sul totale della popolazione attiva, senza però trovarlo: se cresce il numero degli inattivi allora quell’indicatore mostrerà una diminuzione.
Differenze di genere
La mancata partecipazione femminile al mercato del lavoro – questa è un regola che vale sempre e ovunque – pesa come un macigno e ha ripercussioni negative sulla crescita economica. Negli anni della crisi è aumentato il numero di donne occupate, vero, ma spesso si tratta di lavori part-time (anche involontario) o comunque flessibili (e il gap salariale ne è una diretta conseguenza). Qualche tempo fa, sempre l’Istat, spiegava che nel 2014 la maggioranza delle pensionate (il 52,8%) aveva redditi da pensione inferiori ai mille euro al mese, quando il problema investe “appena” un terzo degli uomini. Il divario non può essere colmato se prima non si superano le disuguaglianze nel mercato del lavoro. Intanto, su base congiunturale, la crescita degli occupati nel trimestre ha interessato quasi esclusivamente gli uomini.
Jobs Act
Dati alla mano, l’effetto Jobs Act, se c’è stato, è stato poco incisivo. La crescita congiunturale degli occupati, infatti, oltre ad avere interessato maggiormente gli uomini, ha riguardato in larga misura i lavoratori dipendenti (+0,3%, 51 mila lavoratori), a sintesi tuttavia dell’aumento della componente a termine (+4,5%, 107 mila unità) e della riduzione dei dipendenti a tempo indeterminato (-0,4%, 55 mila unità), che invece il Jobs Act dovrebbe “premiare”.
Il mercato del lavoro italiano riparte?
I dati non sono troppo negativi – negli anni della crisi abbiamo visto di peggio –, ma di certo non esaltanti. Il calo del tasso di disoccupazione, da solo, non spiega granché. In questa fase, per paradossale che possa apparire, in un mercato del lavoro così frammentato, una crescita contestuale del tasso di disoccupazione e del tasso di occupazione potrebbe essere accolta favorevolmente, segno inequivocabile di un paese che si è rimesso in marcia. Anche se, è bene precisare, gli scoraggiati (che sono diminuiti di 68 mila unità in un anno) rappresentano il 13,7% degli inattivi di 15-64 anni (mentre erano il 14,1% nel terzo trimestre 2014). Di contro sono aumentati gli inattivi per motivi di studio (+51 mila) e quelli in attesa degli esiti di passate azioni di ricerca (+74 mila). C’è però da tenere in considerazione il tasso di posti vacanti, che si mantiene su livelli pressoché stabili – piuttosto bassi – rispetto ai periodi precedenti (attorno allo 0,6%). Ques’ultimo è un indicatore da non sottovalutare perché se il tasso di disoccupazione e quello di occupazione rappresentano la porzione di offerta (sulla forza lavoro) non soddisfatta o soddisfatta, il tasso di posti vacanti riguarda il lato della domanda da parte delle imprese. Che evidentemente non decolla, ancora.
(anche su T-Mag)

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