Molti di voi avranno letto il pezzo di Alfonso Berardinelli pubblicato in prima pagina su Domenica de Il Sole24Ore del 27 novembre 2011 intitolato “Tutti i pericoli della lettura”. Si tratta di uno stralcio della relazione che Berardinelli ha predisposto per il convegno “Dal progetto di lettura di Carlo Bo alla lettura nell’era digitale”, svoltosi a Urbino nei giorni scorsi.
Altre volte, su questo blog, ci siamo concentrati (e interrogati) sulla lettura. Ricordo, per esempio, il post “Come sono belli i libri che non si leggono. Perché leggere?” (con interventi di Ferdinando Camon); oppure i post “Perché le donne leggono più degli uomini?” e “Le donne che leggono sono pericolose”.
Vorrei dedicare questo ulteriore spazio alla riflessione sulla “lettura” prendendo spunto proprio dal citato testo di Berardinelli. Ne riporto alcuni passaggi… (chi volesse, può leggerlo integralmente da qui).
“L’atto della lettura è a rischio. Leggere, voler leggere e saper leggere, sono sempre meno comportamenti garantiti. Leggere libri non è naturale e necessario come camminare, respirare, mangiare, parlare o esercitare i cinque sensi. Non è un’attività primaria, né fisiologicamente né socialmente. Viene dopo. È una forma di arricchimento, implica una razionale e volontaria cura di sé. (…)
La società occidentale moderna ha trasformato e reinventato, in una certa misura, le ragioni e le modalità del leggere. Ma recentemente, negli ultimi decenni, l’atto di leggere, il suo valore riconosciuto, la sua qualità, le sue stesse condizioni ambientali e tecniche sembrano minacciate. (…)
Il primo rischio per il lettore, il più originario e fra i più gravi, è il rischio di diventare, di voler diventare, scrittore; oppure, anche peggio, critico. (…)
Un rischio della lettura, il rischio in realtà più frequente, è leggere quel tipo di libri che sarebbe stato meglio non leggere, o che sarebbe stato meglio che non fossero stati pubblicati e scritti. Il libro in sé non è un valore. Lo è solo se vale. E nel caso presente di sovrapproduzione libraria i peggiori nemici dei libri che vale leggere sono i troppi libri che li sommergono e da cui cerchiamo a fatica di difenderci”.
Partendo dal concetto di “lettura nell’era digitale” mi viene in mente la seguente riflessione, che condivido con voi. In un’epoca (quella digitale) in cui la mole di informazioni di cui possiamo disporre è enorme e la facilità di accesso alle informazioni medesime è notevolmente accresciuta, anche (e soprattutto) grazie a Internet… in un’epoca in cui la funzione stessa della nostra “memoria” (intesa nel senso di “capacità di immagazzinare dati”) potrebbe risultare in parte sostituita proprio dalla facilità di accesso alle informazioni… una delle opportunità che la lettura e la buona letteratura potrebbero offrire è lo sviluppo “del senso critico”, oggi più che mai necessario per districarsi nel marasma di notizie e testi che si accavallano, per distinguere ciò che vero da ciò che è spacciato per tale, per poter meglio “interpretare” noi stessi e il mondo che ci circonda.
Del resto, come scrive il Premio Nobel per la Letteratura Gao Xingjian su “La Lettura” (inserto domenicale de “Il Corriere della Sera”) del 27 novembre, “la letteratura, è una sorta di sprone, che risveglia la coscienza degli uomini, li spinge a riflettere in profondità e li incita a esaminare l’oscurità che hanno in fondo a se stessi. Sebbene la letteratura sia basata sull’esperienza acquisita dagli uomini, la forza di discernimento che essa raggiunge supera ogni aspettativa”.
Partendo dai suddetti presupposti, provo a porre qualche domanda…
1. L’atto della lettura è, oggi, davvero a rischio? Leggere, voler leggere e saper leggere, sono sempre meno comportamenti garantiti? Negli ultimi decenni, l’atto di leggere, il suo valore riconosciuto, la sua qualità, le sue stesse condizioni ambientali e tecniche sono davvero minacciate?
2. Se così fosse, cosa bisognerebbe fare per rendere l’atto del “leggere, voler leggere e saper leggere” come un comportamento garantito? E cosa bisognerebbe fare per ridurre il peso di tali “minacce”?
3. “Il libro in sé non è un valore. Lo è solo se vale”. Siete d’accordo?
4. Siete d’accordo con la considerazione che “i peggiori nemici dei libri che vale leggere sono i troppi libri che li sommergono e da cui cerchiamo a fatica di difenderci”? Se sì, quali “rimedi” proporreste?
5. Siete d’accordo con l’idea che una delle opportunità che la lettura e la buona letteratura potrebbero offrire è lo sviluppo “del senso critico”?