Che rischio e libertà avessero un certo grado di parentela, è consciamente o inconsciamente noto a più. Che rischio e libertà fossero due facce della stessa medaglia, invece, continua a sembrare frutto di un ragionamento contraddittorio e paradossale. Eppure, l'osservazione della realtà mente relativamente poco e ogniqualvolta si cerca di mitigare un rischio, il "prezzo" (monetario o virtuale) da corrispondere si esprime sempre in termini di una conseguente riduzione di libertà. Più rischio, più libertà. Meno rischio, meno libertà.
Il problema concreto non sorge, tuttavia, nella constatazione di un'equivalenza di fatto così esplicita, ma piuttosto nel prendere atto che la natura essenziale del "rischio" è ben diversa da quella della "libertà". Ovvero, il "rischio" si presenta sempre con fattezze di potenzialità ed è quindi intrinsecamente non-essente ma probabilmente-essente-in-futuro, mentre la libertà vive in un qui e ora che la rende sempre attuale. Ciò che quindi si s-cambia è sempre un rischio potenziale con una libertà effettiva e, senza eccessivi ragionamenti, si ben comprende che la transazione è perennemente in perdita.
Non deve stupire la tendenza a scegliere un maggiore rischio pur di conservare una libertà proporzionalmente più elevata, perchè di fatto ciò che si sta facendo è la riduzione dell'impatto di pre-occupazione (di cui mi occuperò in un prossimo scritto a supplemento del mio ultimo saggio "Il dispiegarsi del tempo psicologico") sulla quotidianità che, dal passato, si volge al futuro. Pre-occuparsi, ovvero "occuparsi prima di", significa infatti valorizzare il potenziale alla stregua dell'attuale e renderlo, in tal modo, convertibile simbolicamente con esso: senza questo "stratagemma" ogni possibilità di giustificare l'azione diventa nulla, o meglio, si nientifica per rapportarsi con un'ineffabilità inattuale e inautentica. In parole più immediate, la cessione del rischio è possibile solo pensando quest'ultimo nella sua attualità, ma tale condizione è impossibile in quanto il rischio è sempre e solo potenziale, quindi, per evitare un problema non da poco, l'uomo si "pre-occupa" e pre-occupandosi unisce, attraverso un meccanismo simbolico, il potenziale con l'attuale.
D'altronde, chi pagherebbe per un "niente attuale"? Tale s-cambio andrebbe a configurarsi automaticamente nell'ambito della cessione pura che, come scritto in un precedente post, è impossibile almeno tanto quanto l'ipotesi precedentemente enunciata; quindi, per limitare l'azione penalizzante e deteriorante della pre-occupazione, l'unico mezzo che l'uomo possiede è quello di rinunciare a parte della propria libertà (intesa come possibilità concreta nel momento della transazione) per lasciare che qualcun altro (o qualcos'altro) si prenda carico dell'onere della pre-occupazione. Facendo ciò, tuttavia, il soggetto non "riporta il bilancio in pareggio" perchè, come è ovvio constatare, ancora una volta, l'atto del pre-occuparsi è sempre orientato ad un potenziale (a questo punto perfino indebolito), mentre la libertà è attualmente persa.
Quindi, la conclusione che se ne può trarre, è che il rischio è necessario per qualsiasi attività di pro-gettazione e lo sforzo di mitigarlo o eliminarlo non può che essere pagato ad un prezzo sempre maggiore della sua accettazione. Mi riprometto, tuttavia, di ritornare sull'argomento in modo più esaustivo, riallacciandomi a quanto scritto nel saggio sopra citato.