Risorge, sulla Baia d’Uluzzo, l’immagine dell’antico ‘Crustano’
3 febbraio 2014 di Redazione
di Paolo Marzano
Torre Uluzzo (ricostruzione di Paolo Marzano)
Situata sullo spuntone di roccia che guarda sulla grande baia, la torre Uluzzo, ormai ridotta a rudere, abbraccia l’ampia veduta. Da torre dell’Alto a torre Inserraglio, scruta l’orizzonte da perfetta vedetta.
Evidente il suo stato di alterato abbandono e l’indifferenza generale per questi monumenti storici, ma, alquanto evidente, è anche la grande potenzialità dei luoghi e del paesaggio. Il ripristino ‘virtuale’ della torre antica del ‘Crustano’ o di Uluzzo, ritengo sia un atto dovuto alla nostra intelligenza e al rispetto dell’onestà intellettuale di tutti coloro che, ogni giorno, ricercano studiano e si appassionano al nostro territorio, volendone difendere i valori originari più importanti.
Torre Uluzzo (particolare)
L’antico nome della torre Crustano poi Uluzzo, insieme alla torre Inserraglio, antica Critò o Crito, forse Creto, termini derivanti tutti da Critmo e Critamo riferito al finocchio marino, vennero costruite in un secondo momento, rispetto alle altre cinque, della costa neritina.
Urgeva costruire altri due baluardi, infatti, per completare l’antica linea di difesa della costa. Abbiamo notizie, già della sua esistenza funzionale dal 1583. Per la ricostruzione virtuale presentata, le analisi storico-tipologiche e lo studio compositivo, si è rifatto a esempi esistenti come: torre Inserraglio, sulla litoranea di Portoselvaggio-Nardò, torre dell’Orso nella Marina di Melendugno, torre Specchiolla nella Marina di Casalabate (Br), torre Rinalda a Surbo (Le), la torre Sabea nella litoranea Nardò-Gallipoli (Le), torre Guaceto dell’Area Marina Protetta situata sulla costa adriatica dell’alto Salento inserita nella riserva Naturale (Br), torre Sasso nella marina di Tricase (Le). Più a nord, con le stesse caratteristiche, Torre Calderina a Molfetta (Ba), torre Miletofino a Vieste (Fg), torre Montalto a Massalubrense (Na).
Ognuna di esse ha suggerito un particolare diverso per comporre l’immagine finale (il colore del materiale, orditura conci, tipologia dei voltini, le caditoie, le aperture delle finestre, ecc…), la situazione generale mi ha convinto, quindi, che fosse possibile ridarle forma, restituendole il suo dignitoso aspetto originario; specialmente gli ‘appoggi’ tutt’ora evidenti, dichiarano l’esistenza, dei ‘voltini’ con caditoie in controscarpa, la cui composizione è unica per il lavoro di fine ed elegante incorniciatura, degli appoggi stessi.
La visione originaria dell’opera doveva essere di riferimento paesaggistico e di eleganza austera militare. Il nome Crustano, deriverebbe da ‘crusta’ (incrostazione) da intendersi, in questo caso, come il rivestimento, sulla testa, della ‘rozza’ torre, del secondo piano (quello dei voltini), trattato con cura e controllata composizione. Differenti dalle loro sorelle più grandi e possenti torri di difesa, quelle di solo avvistamento, sempre costruite dal Regno, erano dette anche viceregnali, avevano funzione di orientamento per i naviganti e di allarme per gli abitanti dell’entroterra.
L’austerità, è conseguente alla disciplina costruttiva di poter utilizzare le maestranze locali con la loro tradizione costruttiva e i materiali del luogo. Le torri di avvistamento, quindi, si presentano con pianta quadrata circa 10m x 10m e un volume tronco piramidale. La struttura di copertura era creata come zona di vedetta, ma anche come macchina di difesa. Di particolare importanza, infatti, è lo sviluppo della forma delle caditoie (12 in tutto, tre per lato) poste in controscarpa con voltine che variano per i diversi tipi di torre. L’accesso era posto a primo piano, dalla parte a monte (che non guardava il mare) della costruzione ed era raggiungibile con scala fissa, ma sicuramente facilmente distruggibile e rimontabile oppure, nella migliore delle ipotesi, a seconda dei casi e del terreno circostante, era possibile anche costruirci un piccolo ponte levatoio. Le finestre o alcune feritoie erano ricavate solo ai lati e per l’ingresso (per questo motivo ritengo, siano state le parti strutturalmente più deboli, che hanno contribuito al crollo), mentre il lato rivolto verso il mare era cieco, quindi, staticamente più resistente.
Le modeste dimensioni, l’altezza circa 12 m e lo spessore delle murature 2.50 m, erano costruite con paramento interno in pietra squadrata e lavorata (sugli spigoli esterni, sopra le caditoie, nelle volte e voltini interni) mentre il paramento esterno di conci irregolari era legato con malta. Gli spigoli fungono da montanti e sono le parti più resistenti, costituiti da conci di lunghezza 50cm e di circa 27 cm di altezza. All’interno la volta centrale era solitamente a botte o cupola, in quanto, essendo i muri di sostegno a scarpa, permettevano una statica perfetta della struttura.
La volta, che rimaneva indipendente rispetto alle pareti laterali, era rinforzata in chiave da una seconda serie di conci, quasi fosse stata una seconda volta, sovrapposta (tipo bunker) alla prima, ma assolutamente indipendente dal paramento esterno.
La zona di torre Uluzzo, interessata, da un paesaggio naturale meraviglioso tra cui una ricca flora (non dimentichiamo che Uluzzo deriva dal nome dialettale dell’asfodelo, pianta dai frutti simili a capsule tondeggianti, l’uluzzu o nùzzulu?!), è anche una zona di straordinario interesse preistorico. Proprio nelle sue grotte, infatti, é stata scoperta una cultura autoctona del Paleolitico superiore, denominata, appunto, ‘Uluzziana’ (risalente dai 38.000 a 30.000 anni fa). Quante sovrapposizioni di possibili circuiti culturali, allora, esistono in questa zona, intorno alla nostra gentile e onesta torre, ritornata virtualmente a vivere? La risposta, ritengo si trovi, in chi riesce a guardare con occhi, rinnovati dalla sensibilità ambientale, recuperando tesori, da sempre esistiti e mai compresi.