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Risorgere

Creato il 11 gennaio 2012 da Faustodesiderio

L’Italia con le mani nel fango, l’Italia con i debiti fino al collo, l’Italia divisa in destra e sinistra, berlusconiani e antiberlusconiani che sono l’ultima edizione dei guelfi e ghibellini, questa Italia che altro può fare se non risorgere? Il risorgimento non è alle nostre spalle ma davanti ai nostri occhi, perché la storia e la storiografia non nascono dal passato ma dal futuro. L’anno che ha festeggiato i centocinquanta anni dell’Italia “una e indivisibile” è passato rapidamente. Gli anniversari richiedono la cifra tonda, così per fare ancora festa si dovrà attendere i duecento anni. Chissà che Italia sarà. Se si dovesse dar retta al legittimismo borbonico e al leghismo padano l’Italia dovrebbe ridiventare “molteplice e divisibile” com’era l’Italia pre-unitaria. Ma l’Italia che verrà se vorrà ancora essere dovrà essere “una e indivisibile” e sollevarsi non ogni cinquanta anni per le celebrazioni di rito bensì ogni anno e ogni giorno di ogni anno sentendo il Risorgimento non come un’epoca storica ma il senso della vita nazionale degli italiani.

Secondo la storica definizione di Renan, una nazione è il plebiscito di ogni giorno. Una morale che è ancor più vera per l’Italia e gli italiani che, proprio per la storia da cui nascono e sono al di là delle loro intenzioni, hanno bisogno come l’aria che respirano di corrispondersi e ricercarsi. Gli italiani sono bravi nel parlar male di se stessi: è uno sport nazionale che supera di gran lunga l’amore per la Nazionale. Pur, però, vale la distinzione: si può ingiuriare e disprezzare, come si può criticare per risollevare. “I veri interpreti di un Paese  – scrisse Montanelli in un “pezzo” per il Corriere della Sera nel 1950 -  non sono i suoi esaltatori, ma i suoi detrattori e castigatori”. Viva i detrattori e fustigatori come Montanelli che non ne fanno passare liscia una e al diavolo i ministri tromboni che parlano senza credere a ciò che dicono. Questo è il peggiore dei mali: la retorica nazionale. E’ il peggiore dei mali perché gli italiani per loro costituzione non credono allo Stato e quando avvertono che le parole di chi lo rappresenta suonano false si rafforzano nel loro scetticismo in cui prende forma la morale che Francesco De Sanctis chiamava de “l’uomo del Guicciardini” che è tutto intento a badare al “particulare” per la mancanza di fede in qualcosa di più grande e degno della propria “roba” e della propria storia individuale. Il Risorgimento  – con o senza lettera maiuscola -  è il risollevarsi da questa piccineria in cui gli italiani divisi divennero servili pur di salvare le loro quattro carabattole mondane. E’ una lezione valida per oggi e per domani: o si risorge da se stessi o c’è il destino della libera schiavitù prima morale e poi economica.

Mi piace ricordare da meridionale che un uomo del Sud d’Italia come Giustino Fortunato considerava solo l’idea di fare due o tre dell’Italia unita una “bestemmia separatista” e a chi crede che il Piemonte colonizzò il Mezzogiorno va ricordato che l’Italia non si sarebbe fatta senza la Sicilia e Napoli che non furono prese o colonizzate ma si unirono. Spesso le letture distorte o malevoli non sono il frutto di ciò che si sa ma di ciò che non si sa. Risorgere significa anche risorgere dalla propria ignoranza. Qui nulla è più utile della serietà. Un po’ di serietà fa bene a tutti. Si ha necessità di ritrovare un pensiero che non sia moderno o postmoderno, forte o debole, ma più semplicemente serio e non improntato al successo ma alla verità.

La serietà non è “smart”. Cosa è smart (oltre alla piccola automobile che si infila dappertutto e con la scusa che si infila ovunque è diventata un’automobile scostumata)? Smart significa scaltro, furbo, sveglio, rapido, reattivo, arguto. Smart è uno che mostra di saperci fare. E’ proprio ciò di cui non abbiamo bisogno. Più che dello smart o della “smartness”, prerogativa tipica del politico di turno, si avverte il bisogno della saggezza, della compostezza o più semplicemente della serietà. “Nobiltà di spirito” la chiama Rob Riemen ed è la fede nei valori classici dell’umanesimo e della nostra civiltà che sono a base dell’Europa. Socrate chiamò tutto questo duemilacinquecento anni fa “cura dell’anima” e tutta la nostra cultura e il nostro essere sono ancora lì dove li collocò il grande Ateniese. Lo scrittore italiano Giorgio Bassani nel suo romanzo più noto dice che “nella vita se uno vuol capire, capire sul serio, come stanno le cose di questo mondo, deve morire almeno una volta. E allora, dato che la legge è questa, meglio morire da giovani, quando uno ha ancora tanto tempo davanti a sé per tirarsi su e risuscitare”. Credere oggi nei valori e nella bellezza e nell’utilità e nel senso della cultura dell’umanesimo, sia pur venato dal sentimento del tragico, significa “tirarsi su e risuscitare”. E che questo accada senza far rumore, senza appelli, senza partiti politici ma nelle coscienze è il contrassegno della serietà. La libertà politica, che è cosa sacrosanta, da sola non basta. C’è un altro clima da scoprire, c’è un altro cielo sotto cui aspirare a vivere. La vera formazione spirituale non è altro che l’educazione alla nobiltà di spirito ripete Rob Riemen che in patria, l’Olanda, dirige l’Institut Nexus.

Libertà politica e libertà morale. Se siamo in grado di mettere insieme queste due libertà che fanno parte del nostro universo e della nostra storia siamo capaci di ritrovarci e risorgere. Siamo un eterno paradosso perché siamo mortali e per provare a innalzarci verso Dio o il miglioramento siamo costretti a fare i salti mortali. La storia occidentale della nostra anima ci conduce, dopo scontri e insuccessi, sforzi e premi alla libertà politica in cui la domanda sulla vita o sull’essere  – Come devo vivere? -  si relativizza e ognuno può campare liberamente come più piace. Tuttavia, una volta giunti qua in cima è da stolti pensare di liberarsi della cultura che ci ha condotti ossia educati. Se siamo qua su è perché la libertà politica  – la libertà dalle intromissioni nella mia sovranità -  ha le radici nella libertà morale  – quella che osa sostenere che la verità può essere detta dall’uomo e si può vivere secondo verità, secondo bellezza, secondo giustizia, secondo il bene. E’ un errore pensare di mettere tutto questo “senso” nella libertà politica e chiudere una volta per tutte la partita dell’educazione rispondendo alla domanda che ognuno si fa ma nessuno confessa di porsi: come devo vivere? Ma è un errore grossolano ritenere che la libertà consista nella liberazione dalla domande di senso e in definitiva dalla ricerca della libertà morale che ha mosso uomini come Socrate e Platone, Spinoza e Hegel e chiunque crede in cuor suo che la vita abbia un senso vera dignità. Risorgimento, dunque.

Come sono vere le parole Il giardino dei Finzi-Contini. Dobbiamo morire almeno una volta per capire come stanno le cose. L’illusione di aver capito qualcosa non è poi da disprezzare. Provarci, questo si può fare. Le parole dell’Apologia di Socrate sono immortali: una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta. La ricerca presuppone la vita che ci prova, ossia la vita che si mette alla prova. Morire per risorgere, negarsi per rinascere, limitarsi per essere. Che sia una nazione, che sia un uomo, non fa differenza.

 Letture consigliate:

Giorgio Napolitano, Una e indivisibile. Riflessioni sui 150 anni della nostra Italia, Rizzoli

Pino Aprile, Terroni, Piemme

Marco Demarco, Terronismo, Rizzoli

Indro Montanelli, La mia eredità sono io, Rizzoli

Giancristiano Desiderio, Il Paese semiserio, Il Chiostro

Giancristiano Desiderio, Lo spirito liberale, Liberilibri

Rob Riemen, La nobiltà di spirito, Rizzoli

tratto da Liberal del 3 dicembre 2011 (rubrica Parolachiave)



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