Il Risorgimento italiano si prospetta, per Gramsci, come aspetto italiano di un più generale sviluppo europeo nell’età, prima della Riforma, poi della rivoluzione francese e, infine, del liberalismo. Come tale, i suoi termini cronologici si estendono a tutto il secolo XVIII, per cogliere fin dall’inizio il < processo di formazione delle condizioni e dei rapporti internazionali che permetteranno all’Italia di riunirsi in nazione e alle forze interne nazionali di svilupparsi ed espandersi > allo stesso fine. Inoltre, esso va colto, nell’ambito nazionale, da un lato < come ripresa di vita nazionale, come formazione di una nuova borghesia, come consapevolezza crescente di problemi non solo municipali e regionali ma nazionali, come sensibilità a certe esigenze ideali >; dall’altro lato, come > trasformazione della tradizione culturale italiana > sia secondo il movimento della cultura europea che secondo le spinte alla formazione di una nuova coscienza storica e ricostruzione e proiezione nel presente del passato italiano a partire da Roma. Anche per Gramsci, solo a partire dalla rivoluzione francese, il Risorgimento, così inteso, acquista effettiva concretezza, poiché è solo da allora in poi che esso non è più soltanto una tendenza generale della società e della cultura italiane in sintonia con quelle europee, ma si trasforma in azione < consapevole in gruppi di cittadini disposti alla lotta e al sacrificio >, diventando così una spinta storica effettiva operante attraverso forze specifiche e consistenti. Ed è proprio il discorso sulla natura e sul comportamento di queste forze nel momento decisivo del Risorgimento, quando l’unità italiana viene realizzata, a costituire l’oggetto dominante delle riflessioni storiche di Gramsci. Da questo punto di vista, il suo giudizio è assai netto: il processo risorgimentale fu caratterizzato da una netta egemonia delle forze moderate su quelle democratiche. Ma, contrariamente ad un’opinione molto diffusa, ciò non significa affatto che Gramsci abbia una concezione negativa del Risorgimento e che ne condanni gli esiti. Egli, anzi, polemizza contro coloro che mostrano di non < valutare adeguatamente lo sforzo compiuto dagli uomini del Risorgimento, sminuendone la figura e l’originalità, sforzo che non fu solo verso i nemici esterni, ma specialmente contro le forze interne conservatrici che si opponevano all’unificazione >. Ricorda, inoltre, che < le forze tendenti all’unità erano scarsissime > in Italia e poco coordinate tra loro addirittura fino al 1848, mentre le forze contrarie erano < potentissime, coalizzate e, specialmente come Chiesa, assorbivano la maggior parte delle capacità ed energie individuali >. E, infine, Gramsci riconosce nel < potere d’attrazione > dei moderati sui democratici un caso di attrazione < spontanea > di una forza sociale su altre, ossia l’attrazione di un < gruppo sociale realmente progressivo >, perché < fa avanzare realmente l’intera società, soddisfacendo non solo alle sue esigenze esistenziali, ma ampliando continuamente i propri quadri >: dunque, e sempre in termini gramsciani, un caso di < egemonia >, non di < dominio >, e tanto valido e forte da essere perfino > riuscito a suscitare la forza cattolico-liberale > e ad ottenere che, sia pure per poco, addirittura un papa ( Pio IX ) si conformasse al movimento liberale, realizzando così < il capolavoro politico del Risorgimento > e superando uno degli ostacoli maggiori di resistenza al movimento nazionale. La condizione di base dell’egemonia dei moderati sta nel fatto che < essi rappresentavano un gruppo sociale relativamente omogeneo, mentre il cosiddetto partito d’azione non si appoggiava specificamente a nessuna classe storica >, mancava < addirittura di un programma concreto di governo > e traeva ispirazione – rispetto ai moderati – in molti dei suoi uomini in ragioni < più di ‘temperamento’ che di carattere organicamente politico >. Ciò conferma come sia semplicistico vedere in Gramsci l’autore di un < processo al Risorgimento >, quando, invece, egli parte da una valutazione senz’altro positiva dell’unificazione italiana; e quel che critica è l’esito sociale di quel processo, ma dal punto di vista della consistenza storica e sociale dei democratici italiani del Risorgimento e della loro azione, nonché dal punto di vista della politica dello Stato italiano unitario. Per ciò che riguarda il partito d’azione, avvalendosi di una categoria storica a cui portò un acceso interesse, ossia quella di > giacobinismo >, Gramsci imputa ad esso di non aver saputo opporre all’omogeneità spontanea dei moderati l’organizzazione di un grande movimento popolare di massa.
Nelle condizioni dell’Italia di allora ciò avrebbe voluto dire, in sostanza, guidare i contadini ad una lotta per la terra specialmente nel Mezzogiorno. Ciò ha fatto riassumere, non a torto, le vedute di Gramsci s questo riguardo nella formula del Risorgimento come < rivoluzione agraria mancata > ( che però non ricorre mai in lui ). E, in effetti, anche se egli ha presente che al di là di una certa democratizzazione non si poteva < forse giungere date le premesse fondamentali del moto > risorgimentale nel suo insieme, a suo avviso il fallimento del partito d’azione impedì < di inserire il popolo nel quadro statale > dell’Italia unita e facilitò la condotta corporativa di classe della borghesia moderata che resse lo Stato unitario. Questa linea di giudizio non è esente da oscillazioni, e perfino contraddizioni, soprattutto per il ripetuto tornare di Gramsci sulle condizioni non solo <soggettive> (programma, omogeneità sociale coi moderati etc.), ma anche <oggettive > ( situazione internazionale del tempo, particolarità italiane etc. ), che danno conto della sorte della sinistra risorgimentale, in ultima analisi ( come egli vedeva nel 1860 < possibile > azione storica, a cui il partito d’azione ( con Mazzini, Garibaldi, Pisacane etc. ) a suo avviso era mancato, illustra, tuttavia, a fondo il progetto non più storico, ma attuale e politico che Gramsci sentiva come problema di democratizzazione dell’Italia dei suoi tempi. E non a caso sia quell’azione storica mancata che questo progetto e problema ruotano largamente intorno al Mezzogiorno e ai suoi contadini come soggetto storico, che, mobilitato attorno al tema della riforma agraria, Gramsci giudica destinato, nel passato e nel presente, a spostare gli equilibri politico-sociali dell’Italia: la questione meridionale è, infatti, ai suoi occhi una delle conseguenze più dirette del carattere limitato e classico assunto dalla direzione moderata dello Stato unitario. Per quanto riguarda quest’ultimo, il giudizio di Gramsci è, però, ancora più complesso. La critica della natura borghese del suo ordinamento e della sua politica, che Gramsci sviluppa ampiamente, neppure in questo caso ignora o disconosce la positività e la modernità della soluzione risorgimentale. In un’occasione solenne come il discorso contro il nascente regime fascista, tenuto alla Camera dei Deputati nel 1925 egli avrebbe addirittura dichiarato che i comunisti si proponevano di fare come la minoranza borghese del Risorgimento, la quale, pur essendo appunto una minoranza, però, < siccome rappresentava gli interessi della maggioranza anche se questa non la seguiva, così ha potuto mantenersi al potere >. D’altra parte, il giudizio di Gramsci sull’Italia unita è assai duro su problemi essenziali e su momenti e uomini fra i più rilevanti. Dal punto di vista della sua ottica risorgimentale, la questione più importante è quella del trasformismo. In esso Gramsci vede non soltanto una prosecuzione, bensì anche un deterioramento della < azione egemonica intellettuale, morale e politica > esercitato dai moderati sui democratici nel periodo che aveva portato alla unificazione. Nel Risorgimento l’assorbimento dei democratici da parte dei moderati aveva però, un alto contenuto storico, perché – come si è visto – la borghesia moderata si era fatta portatrice degli interessi dell’intera nazione; nell’Italia unita diventa strumento della versione più ristretta e più classistica che i governi del periodo unitario danno del loro compito nazionale. Così l’egemonia dei moderati nel Risorgimento diventa il loro dominio nell’Italia unita, il loro < crudo ‘dominio’ dittatoriale >. Gramsci distingue, anzi, un trasformismo < molecolare > fino al 1900 ( ossia l’assorbimento individuale degli elementi migliori e più attivi dell’opposizione democratica nella < classe politica > conservatrice-moderata ) dal < trasformismo di interi gruppi di estrema che passano al campo moderato > negli anni dopo il 1900. Il risultato del trasformismo è la < decapitazione > dei gruppi progressisti e il < loro annichilimenti per un periodo spesso molto lungo >. Il Risorgimento si conferma, quindi, per Gramsci, anche nei suoi effetti sulla vita dell’Italia unita, quale egli lo definisce, come < uno svolgimento storico complesso e contraddittorio, che risulta integrale da tutti i suoi elementi antitetici >.
La soluzione unitaria ha realizzato una promozione e modernizzazione del paese ed ha corrisposto agli interessi preminenti della nazione, ma le classi che hanno prima diretto il movimento nazionale e poi governato lo Stato unitario hanno agito su una base essenzialmente conservatrice e moderata, che ha limitato la positività del processo e che si è andata accentuando col tempo: si può riassumere così il giudizio d’insieme, il giudizio gramsciano sul Risorgimento, nel quale perciò rientrano in una sintesi molto complessa le nozioni di < giacobinismo >, < egemonia >, < dominio >, < questione meridionale >, < trasformismo >, < rapporto tra città e campagna >, < questione agraria >, che sono tra le nozioni centrali del pensiero di Gramsci. - Giuseppe Galasso- Le parole, l’unità,1987.
@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@
IO VORREI CHE A METTERNICCHE
Io vorrei che a Metternicche
gli tagliassero le gambe
le mettessero per stanghe
alla carrozza del suo re.
Io vorrei che a Metternicche
gli tagliassero le budelle
vorrei farne le bretelle
per le scarpe del suo re.
Io vorrei che a Metternicche
gli tagliassero i coglioni
vorrei farne dei bottoni
per la giubba del suo re.
-Anonimo-
(Canzone cantata dai volontari toscani in marcia sulle pianure di Mantova nel 1848.)
- un’ EVVIVA x TUSCAE GENTES -
[ Cerca: ACCENNO ]