Risparmio gestito, crisi senza fine per i fondi comuni di investimento italiani?

Da Mrinvest

Sembra ieri, quando il 21 giugno del 1984 Gestiras SpA lanciò in Italia il primo fondo comune di investimento italiano. All’inizio venne visto dagli italiani con diffidenza, ma dopo poco tempo rivoluzionò la finanza italiana. Da quel giorno il risparmio gestito ha fatto molta strada, conquistando per ben 18 anni la fiducia degli investitori. Fino a pochi anni fa sembrava che la corsa dei fondi comuni di investimento alla raccolta di denaro “fresco” non dovesse finire mai, ma, si sa, non è tutto oro quello che luccica! Dal 2002 nel sistema dell’industria del risparmio gestito italiano si è inceppato qualcosa che sta lentamente distruggendo quello che di buono è stato costruito nel corso degli anni.
L’industria del risparmio gestito è cresciuta in tutti questi anni a immagine delle

banche che lo hanno voluto e creato. I problemi però sono tanti e se non verranno presi i giusti provvedimenti per far fronte alla crisi che ormai da troppo tempo la sta colpendo, il sistema può soccombere.
Basta pensare che nel 2008 il deflusso dai prodotti del risparmio gestito italiano è stato quasi di 83 miliardi di euro e che, sia nel 2009 sia nei primi sei mesi del 2010, la raccolta netta dei fondi comuni di investimento italiani è stata ancora negativa rispettivamente per quasi 13 miliardi e oltre 10 miliardi. Una vera catastrofe!
Probabilmente il risparmio gestito non vivrà più il boom degli anni Novanta, quando era stato favorito dalle condizioni di mercato favorevoli, come la riduzione dei tassi di interesse e lo spostamento verso nuove forme di investimento diverse dai titoli di Stato, che avevano permesso al settore di diventare il punto di riferimento, non solo per gli addetti ai lavori, ma anche per gli investitori.
Ma il trend negativo della raccolta dei fondi comuni ha origini più lontane. Infatti iniziò già nel 2003 quando si intravedevano segnali di debolezza nella struttura del settore. Poi nel 2004 e 2005 molte banche hanno deciso addirittura di trasferire i fondi italiani in quelli esteri, in Paesi, come il Lussemburgo e l’Irlanda, dove esistono condizioni di produzione (soprattutto fiscali) più favorevoli.
La progressiva riduzione del mercato italiano dei fondi è evidente paragonando i dati di oggi con quelli del 1999. I patrimoni in gestione in quell’anno pesavano per il 42% del Pil, contro il 16% di oggi, e se il mercato italiano era il quarto a livello mondiale per dimensioni, oggi si ritrova al nono posto, con esclusione di Irlanda e Lussemburgo.
Inoltre, se fino a due anni fa il settore era sostenuto dalla raccolta complessiva, con la raccolta dei fondi di diritto estero che bilanciava i riscatti dai fondi di diritto italiano, ora è venuto meno anche questo.
Ma quali sono i motivi di questa disfatta?  E cos’è cambiato dal periodo d’oro dei fondi, alla fine degli anni Novanta?
Nella seconda parte analizzeremo nel dettaglio le cause della crisi dei fondi comuni di investimento di diritto italiano.

(Segue seconda parte)


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