Magazine Cultura
Inviata a Mario Cervi, che ci aveva invitato a rispondere, non è stata mai pubblicata.
Che il nostro tempo sia pieno di “follie” ne siamo certi. Che autorevoli filosofi abbiano cercato di giustificare dei massacri… anche di questo non possiamo dubitare. D’altra parte sappiamo bene che anche degli uomini normali c’è poco da fidarsi: "La società fa gran conto del suo uomo normale: educa i fanciulli a smarrire se stessi e a divenire assurdi e ad essere così normali. Gli uomini normali hanno assassinato 100 milioni circa di loro simili uomini normali negli ultimi cinquant'anni", scriveva ormai quasi mezzo secolo fa Richard Laing e il massacro dei normali continua indisturbato. Ma andiamo per punti, o almeno proviamoci.
In un tempo pieno di “follie”, spesso i rimedi sono visti come altrettanto folli e la loro follia risiede, probabilmente, nella volontà, quasi utopica, di modificare strutturalmente lo stato delle cose, non adattandosi ad esso, ma cambiandolo dall'interno. L'animalismo, quello vero, non ha nulla a che fare con “quelle cure disgustose e bamboccesche” verso gli animali da compagnia, men che meno col manifesto della Brambilla dove si chiede di far soffrire un po’ meno gli animali trucidati per le nostre egoiste (e primitive) papille gustative.
L'animalismo, quello vero, quello che, neanche a dirlo, poggia su solide posizioni filosofiche, è sinonimo di antispecismo, un movimento teorico dagli immediati risvolti pratici e morali, che rifiuta la discriminazione, lo sfruttamento ed il massacro degli animali per vestirci,nutrirci, divertirci e per scopi scientifici.Questa discriminazione che - per citare il filosofo Max Horkheimer - ha relegato gli animali nella cantina dell’edificio (un grattacielo) che rappresenta la nostra società umana, fondala sua natura, crudele, sulla credenza che la sola appartenenza ad una diversa specie giustifichi - eticamente - il diritto di disporre della vita, della libertà e del lavoro coatto di un altro essere senziente.
Essere animalisti significa dare voce a chi, della voce, è stato privato. Significa soffrire ogni giorno che passa guardando, inerti, un massacro senza eguali che vede morire, per la sola alimentazione, circa cinquanta miliardi di animali ogni anno. Capite bene? Cinquanta miliardi di esistenze spezzate per nutrire una piccola porzione di umanità. Piccola porzione che, nonostante tutto, continua a gridare l'inno perbenista della fame nel mondo: un problema reale ma che, visto ilnumero di animali massacrati e la grande indifferenza verso questa crudeltà, possiamo “azzardare” creato consapevolmente e messo sulla bilancia nelle discussioni solo per placare la nostra cattiva coscienza nei confronti degli animali non umani. Quanto alle citazioni che il lettore de La Stanza sciorina con incurante superiorità, forse quei filosofi da cui sono tratte bisognerebbe conoscerli un po' meglio (insieme a tutti quelli che hanno fatto della questione animale un tema centrale delle loro speculazioni). Citare Immanuel Kant non è una buona mossa perché il filosofo di Königsberg riteneva che la crudeltà nei confronti degli animali fosse male in quanto preludio della crudeltà sull’uomo. La “rude semplicità” invocata dal lettore de La Stanza, infine, non sappiamo davvero cosa possa significare. Che esseri viventi in grado di soffrire, gioire, provare diversi tipi di dolore, emozionarsi e talvolta parlare (per approfondire invitiamo a consultare gli studi sulla cognizione animale), debbano essere visti come “esseri di limitato valore”, francamente sconforta e terrorizza. Parole simili sono già state pronunciate nel corso della storia (nei confronti di diverse etnie umane) ed è qui inutile ricordare qui come poi siano andate le cose. Essere violenti ed intolleranti nei confronti della differenza denota scarso senso civico, ma soprattutto, la violenza contro gli inermi è accettazione dello sterminio. Visto che la filosofia (quasi fosse un oggetto di cui tutti possiamo abusare) è stata tirata in mezzo, si può concludere questa lettera parafrasando Derrida proprio sul concetto di differenza: l’identità non è qualcosa di dato oggettivamente ma si determina in relazione ad altro, nel differire da sé. In sostanza di “follie”, nel nostro tempo, ne esistono davvero molte, tutto sta nel capire quando, a denunciare queste follie, sono proprio i folli del nostro tempo.
Per Oltre la specie (www.oltrelaspecie.org)
Leonardo Caffo
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