mercoledì 14 marzo 2012 di Rosita Baiamonte
È da poco passato l’otto marzo, data quanto mai bistrattata e ridotta in polvere da menti becere che l’hanno trasformata in una mera operazione commerciale e, nel peggiore dei casi, in una sorta di libera uscita per donne che durante l’anno subiscono il dominio dei loro uomini o dei loro padri. Ma non è di questo che voglio parlare.
Voglio parlare di donne sì, ma vorrei fare una riflessione sul perché noi donne di oggi non abbiamo più modelli positivi da seguire.
La riflessione è scaturita in seguito al video che abbiamo girato in giro per Palermo; devo essere sincera, sono rimasta sconcertata dalla pochezza di idee, pensieri propri e iniziative delle ragazzine di oggi, quelle ragazzine che domani saranno donne e non posso fare a meno che guardare indietro nel tempo e chiedermi: che diavolo è successo? Perché sono così vuote? Perché il loro unico desiderio è esibirsi in balletti senza senso, incuranti della gente che passa, senza ritegno e poi, se gli fai una domanda scappano impaurite come se le stessi mandando al macello? Non è vergogna quella, è semplicemente essere zucche vuote, è non porsi domande.
Il fatto che siano ragazzine non è una giustificazione. La mia risposta è che gli esempi da seguire scarseggiano e se ci sono non vengono esaltati; al contrario, i cattivi modelli vengono presentati in maniera plateale, per cui, anche se posti come non esemplari lo diventano. È la televisione che crea questi mostri? Il Grande Fratello? I vari Fabrizio Corona che si accompagnano con donnine svestite e fiere di esserlo? Non so se è questo, forse semplicemente il benessere ci ha reso tutti anestetizzati, senza stimoli, dopotutto, perché spaccarsi a studiare quando puoi fare un provino, diventare velina e vivere felice?
Se una di loro alla domanda “conta più l’aspetto fisico o l’intelligenza” risponde “è meglio essere belle dentro che fuori” capisci che qualcosa non va, e lo capisci soprattutto perché non fa niente per apparire meno carina, e quindi non ci crede fino in fondo, la bellezza è il solo lasciapassare che conosce. È una frase standard, che dicono spesso a Miss Italia, per apparire migliore di quello che si è, è come dire “sono per la pace nel mondo ma mi piacciono le armi”. Una risposta del genere fa semplicemente ridere, bastava rispondere: l’una non esclude l’altra e si chiudeva lì.
E allora, visto che la tv non lo fa abbastanza, voglio proporre dei modelli di donna da seguire: Rita Atria ad esempio, gettata nell’oblio da tutti.
Chi è Rita Atria? Rita era una donna siciliana, nata in una famiglia mafiosa, nella provincia trapanese.
In tenera età le uccidono il padre, in seguito le uccidono anche il fratello Nicola, a cui era legatissima e che la mette al corrente di tutti gli affari loschi condotti dalla sua famiglia e dalle altre cosche. Quando Nicola muore, lei e la cognata Piera Aiello decidono di collaborare con la giustizia.
Rita ha soli diciassette anni e da sola sfida il mondo a cui appartiene, viene isolata da tutti, ripudiata dalla madre che addirittura distruggerà la sua lapide.
Rita ha deciso di non vendicarsi, ma di chiedere giustizia e questo la pone in una situazione di estremo pericolo. La mafia non ammette ribellioni, pena la morte.
Rita così si ritrova sola, sola contro tutti, ma con un grande alleato accanto, il giudice Paolo Borsellino, ai tempi capo procuratore di Marsala, che la fa trasferire a Roma, dove Rita tenta di ricostruirsi una vita, almeno fino al 19 luglio 1992, giorno della strage di via D’Amelio.
Rita non ce la fa, si arrende a un destino crudele, il dolore per la perdita di quel secondo padre è più forte di tutto e il 26 luglio 1992 si toglie la vita:
«Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarsi.
Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi ma io senza di te sono morta.»[1]
L’esempio di Rita ci rimanda a parole come libertà, cittadinanza, giustizia, informazione, legalità. Parole che ora sembrano essere vuote e senza senso. In un mondo che assume a esempio Belèn Rodriguez e lascia cadere nell’oblio storie di donne come quella di Rita o come quella di Ilaria Alpi (su cui ho scritto un articolo), cosa mai possiamo aspettarci dal futuro? La disillusione nei confronti delle nuove generazioni è palpabile, ma nessuno sembra farci caso o tenta di porvi rimedio. Forse generalizzo, forse no, ma sta di fatto che quel pomeriggio in giro per Palermo tutto questo mi ha lasciato un sapore amaro in bocca.
Penso a Rita, a Ilaria, a Rossella, a Aung San Suu Kyi e al loro sacrificio e mi chiedo: cosa è rimasto di tutto questo? Ne è valsa davvero la pena? Nonostante tutto sì, ma a volte non ci credo così tanto.
[1]Ultime parole scritte da Rita Atria, prima di togliersi la vita.
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