Magazine Poesie

Rita Pacilio annota GALLERIA DEL VENTO di Luigi Cannillo

Da Narcyso

Galleria del vento di Luigi Cannillo

La Vita Felice, 2014

nota di Rita Pacilio

 

galleria
Non sapremo mai con esattezza la manifestazione che si innesca nell’individuo quando ‘chi ama vive e soffre per l’altro col peso delle sue mancanze e ferite che solo l’altro potrebbe colmare o guarire. L’amore mette in crisi la teoria … ’, secondo Alberto Eiguer. Quindi per sopravvivere all’assenza/mancanza di chi amiamo bisogna allenarsi e bisogna fare i conti con le conseguenti sensazioni di dolore. Per poter provare delle sensazioni di dolore e di piacere occorre avere a disposizione un sistema nervoso molto elaborato, capace di programmare le ‘pulsioni’ per riconoscere come ‘positivi’ alcuni stimoli e altri come ‘negativi’ che potrebbero compromettere lo stato di sopravvivenza dell’individuo o del gruppo. Fra le diverse emozioni esistono confini sottilissimi e spesso con gli stessi termini si possono individuare sensazioni differenti. La poesia permette di orientarci meglio nel labirinto complicato del grande tema psico-filosofico della mancanza/assenza/perdita controllato dai nostri sentimenti. Luigi Cannillo nella raccolta poetica Galleria del vento, LVF, 2014, si inoltra, nelle quattro sezioni del libro, in un tragitto lirico attraverso esperienze umane: dalla perdita materna e dal distacco delle cose delinea un cammino emozionale ed evoluto rispetto alla commiserazione del dolore fino a se stesso, puro e semplice, fino ad arrivare alla razionalizzazione/elaborazione/minaccia della paura complessa. Lo spazio psicofisico della galleria, utilizzata come veicolo di ricongiungimento e, nello stesso tempo, di separazione dalle persone amate, produce un senso di smarrimento e di ricerca, incessante difesa dai meccanismi che continuano ad entrare nei circuiti cerebrali di ogni poeta. La vulnerabilità della folata fluttuante e misteriosa dell’oggetto vento, che metaforicamente può rappresentare l’attaccamento/legame affettivo, riesce a dimostrare al lettore (prima ancora che alla poesia) di essere in grado di uscire dallo schema afferrare – stringere. Cannillo è determinato nella sua esperienza poetica da governare: la elabora con un linguaggio simbolico consentendoci la visione del passato prefigurandoci il futuro: ‘la luce della verità postuma’, dice S. Aglieco nella erudita prefazione! La buona poesia, dunque, serve anche a socializzare con tematiche riguardanti le ‘emozioni della sopravvivenza’, quelle tematiche che fronteggiano l’imprevedibile esperienza del distacco, dell’impermanenza, della paura, dell’insopportabile solitudine dopo un lutto/perdita frequentandole come esigenze esistenziali e come forza operante per una azione viva di rinascita personale e collettiva.

***

 

dalla sezione L’ordine della madre

Abbiamo suddiviso a bassa voce
la farina del presentimento
Il compleanno coltiva
sulla tavola fiori coraggiosi
ma il profumo si inchina
a un vento sconosciuto
che incrina la casa da dentro
Poi semina dal dolce
i vetri sul cammino
E stacca dal chiodo il mantello
ci precede oltre la soglia
Dobbiamo andare, vieni,
ci ha fatto strada e stende
una notte senza mattino
Così il tempo che ci seguiva innocuo
accelera e sorpassa verso il vuoto
Hai separato la porzione, la briciola
hai soffiato come ogni anno sulla luce
ma quel respiro già si avvita in tempesta

***

dalla sezione 12 segni

I

Primo fuoco che brucia
anche il braccio di chi regge la torcia
fiamma che osa mordere il vento
Desiderare come fascio di legna
precipitando in cenere
Videro passare nel cielo
un ariete alato, il mantello
in faville dorate nell’aria
Inseguendolo in viaggio
ho scardinato forzieri
e sperperato il tesoro
ho imparato e dimenticato ogni lingua,
la passione accesa rapida
come pagliaio, subito lontana
Reduce riporto sulle spalle
la superficie del prodigio
i bagliori del manto accendono
i germogli di grano per la semina
Sono già nel mare di spighe,
già nella falce della mietitura

***

dalla sezione Il rovescio del corpo

Cerca il mio corpo sulla carta
come se il tempo veramente
si fermasse sull’arco delle righe
L’alfabeto lascia traccia
di una forma naturale, la ritrae
ma il foglio non riflette a specchio
come curvano i gesti e le stagioni
Guarda, ora sono nel passo
che si avventura fuori, nel tocco
che ti sfiora e si disperde
Tutto è assegnato al corpo
pronto alla fuga, alla sua lingua
inquieta che si deposita e alimenta,
perfino il suo esilio sulla pagina
L’essenza si rovescia sulla carta
ma brilla sul polso di chi scrive


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