RITAGLI DI GIORNALE – 20.05.2015 di Malachia di Armagh

Creato il 21 maggio 2015 da Conflittiestrategie

Scritto da: admin

E' abbastanza noto che uno dei più importanti dibattiti di teoria e politica economica degli ultimi anni hanno visto schierati da una parte due economisti neoclassici dell' Università di Harvard, disaccoppiamento sociale relativo Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff e dall'altra il celeberrimo alfiere della scuola neokeynesiana Paul Krugman. Si tratta della faccenda che riguarda il rapporto tra debito pubblico e crescita del Pil; per alcuni anni sia negli Usa che in Germania se ne era fatto un vero e proprio teorema da cui far discendere ogni scelta di politica economica: se il debito pubblico, in particolare il debito estero, raggiunge livelli vicini al 90 % del Pil esso diventerebbe il fattore determinante riguardo agli effetti negativi nei confronti della crescita di un paese. Alcuni giovani economisti sarebbero riusciti, secondo alcune fonti, a dimostrare l'infondatezza di questa tesi, avversata in varie maniere e con varie motivazione da tutta la scuola neokeynesiana, contraria alle politiche di austerità che hanno particolarmente condizionato la Ue negli anni successivi all'innesco della crisi mondiale. Alcuni giorni fa (13.05.2015) Kenneth Rogoff ha scritto un articolo sul Sole 24 ore a proposito della questione delle diseguaglianze che a tutti i livelli e in vario modo, in seguito alla nuova "grande depressione", si sarebbero diffuse e intensificate, secondo alcuni critici, a livello globale. Mi ricordo che diversi anni fa avevo avuto occasione di leggere alcuni articoli sulla possibilità che nell'economia mondiale si manifestasse un fenomeno definito con il termine "decoupling" (disaccoppiamento); allora si faceva riferimento ad un possibile diverso passo di crescita e sviluppo, nella nuova situazione di crisi, tra l'occidente e le potenze economiche emergenti ma successivamente questo concetto è stato intrecciato con problematiche riguardanti la scarsità di materie prime, le questioni ambientali e altro. La crisi è indubbiamente globale e l'economia cinese e indiana, ad esempio, risente in maniera pesante di ciò che succede in Europa e negli Usa. Ciò non toglie che il tasso di crescita sia molto diverso e diseguale nelle varie aree regionali del pianeta e in particolare che si noti una diversa dinamica a livello di tenore di vita, differenze di reddito e consistenza dei ceti medi. Si potrebbe dire che, in qualche maniera, ci troviamo di fronte ad una situazione di che rende più difficile arrivare a conclusioni comuni condivisibili quando ci si occupi di temi come la diseguaglianza a livello globale o le politiche migliori da utilizzare per contrastare l'aumento della povertà in diverse zone del pianeta e la sua diminuzione relativa in altre. Rogoff, nel suo articolo, parte a razzo proprio mettendo al centro questa problematica complessa e i toni polemici che da essa sono inevitabilmente suscitati:

Si può certamente parlare di diritto e del rapporto tra il diritto statuale, il diritto internazionale e il diritto cosmopolitico e porre la questione a partire da quest'ultimo ma la morale non c'entra niente. Il grande Kant pensava che gli esseri razionali da noi conosciuti si potessero suddividere in "santi" e "uomini" ma i/le santi/e non sono uomini (o donne) ed infatti di loro non si occupava. Quando dopo diverse generazioni di individui e, quindi, svariati decenni in alcuni paesi inizia una regressione nel tenore di vita e nelle forme politiche, giuridiche e organizzative della sicurezza e dei servizi sociali con un loro parziale smantellamento si instaura una condizione di crisi sociale profonda. E' noto che il livello dei bisogni ritenuti socialmente di primaria importanza varia storicamente: l'astrazione neoclassica di una suddivisione dei bisogni in primari o naturali e secondari o di civiltà si fonda sull'individualismo metodologico puro mentre anche solo una sua correzione con l'introduzione di una visione, magari schematica, di una qualche forma di evoluzione socioculturale renderebbe possibile comprendere meglio il problema. Non siamo di fronte ad una semplice contrapposizione tra opportunità politica e manifestazioni di capacità giuridico-morale di maggiore o minore levatura, anzi di questo non serve proprio parlare, perché le dinamiche e le lotte che gli individui portano avanti, siano pure quelle per la libertà, per l'eguaglianza, per il lavoro o per l'astratta e fumosa "dignità inviolabile degli esseri umani" si costituiscono, concretamente, a partire dai rapporti sociali storicamente determinati che caratterizzano una specifica popolazione in un particolare spazio geografico-politico. Questo non vuol dire che il politico-ideologico rappresenti solamente l'epifenomeno della "base materiale" dal momento che i mezzi necessari per le strategie usate per prevalere nei conflitti per il predominio non sono soltanto quelli economico-produttivi-finanziarima anche quelli reperibili a livello culturale-mediatico ed amministrativo-istituzionale. Vediamo, adesso, come il famoso economista continua il suo discorso apparentemente a favore delle masse diseredate del pianeta:

Mi permetto una piccola osservazione riguardo alla possibilità di una ragionevole imposta patrimoniale all'interno dei paesi di più antico sviluppo economico. In una fase in cui i detentori di redditi molto alti appaiono restii ad investire nell'economia reale, in una situazione nella quale il risparmio accumulato oltre un certo livello viene utilizzato per massimizzare la propria posizione di rentier - e non quella di imprenditore che innova e rischia e che accetta di mettersi in gioco nonostante la crisi abbia "ristretto gli spazi" e implementato la competizione - sembrerebbe ragionevole che, soprattutto nei paesi con economie "mature", si spostino risorse in favore della capacità di consumo dei ceti medio-bassi. Ma , come persino Hayek ammetterebbe, il dogmatismo e la rigidità mentale non sono solo una caratteristica dei residui sostenitori di fallimentari politiche economiche legate ad una ideologia "costruttivista" che crede alla possibilità di pianificare-programmare in termini quantitativi le grandezze aggregate macroeconomiche fondamentali. E quindi il dogma dell' intoccabilità della proprietà e quindi anche dell'equivalente universale nella forma monetaria risulta, inevitabilmente, indiscutibile e qualsiasi dialogo razionale attorno ad esso appare impossibile ora e anche in ogni possibile futuro che ci sia dato, attualmente, di immaginare. A questo punto Rogoff concentra il "fuoco" polemico verso un autore, anch'egli economista, di cui si è molto parlato negli ultimi tempi:

Penso proprio che La Grassa, uno dei pochi autentici conoscitori del Marx "scienziato sociale" e "critico dell'economia politica" in circolazione, solleverebbe molti dubbi sull'autenticità di questa presunta affermazione marxiana soprattutto considerando che in uno dei suoi più importanti saggi degli ultimi anni ha preso lo spunto, per sviluppare certi temi, da un "economista nazionale" autentico come Friedrich List. Il nostro economista, poi, non ci dice proprio nulla di nuovo quando ci ricorda una dinamica sociale arcinota: il declino dei ceti medi in occidente e il loro contemporaneo aumento nei paesi emergenti. Comunque non possiamo negare che alcune considerazioni di Rogoff appaiano relativamente interessanti e politicamente problematiche soprattutto quando scrive che

I dubbi che, dal nostro punto di vista, nascono dalle enormi questioni poste dai flussi migratori incessanti e dal loro ruolo destabilizzante, soprattutto per l'Europa e le zone ad essa collegate, si scontrano con le ipotesi che vedono proprio nel declino del mondo di più antica industrializzazioni uno dei fattori più importanti che può favorire l'accentuarsi di una situazione di multipolarismo avanzato incamminato a grandi passi verso un nuovo policentrismo. Il discorso, comunque, cala nuovamente di tono quando a Rogoff capita ancora di scivolare sulla "buccia di banana" moralista:

Lascio, poi, giudicare ai lettori quanto possa risultare edificante sfruttare cinicamente le condizioni disperate di poveri disgraziati che cercano di sfuggire alla morte per farli lavorare "con salari da fame". Proprio uno splendido esempio di "scrupolosa moralità" ! Una ulteriore esortazione a comprendere l'inevitabilità di un processo di migrazione inarrestabile - nei confronti del quale è soltanto possibile fare delle scelte riguardo alle modalità con le quali fargli fronte - emerge in alcune vaghe considerazioni del professore corroborate dal riferimento a tematiche bio-ecologiche ritenute indiscutibili. Così continua, infatti, Rogoff:

A questo proposito, in un articolo apparso sul Corriere del 04.06.2014, si poteva leggere:

Questa lunga citazione ha il solo scopo di ricordare l'importanza che - pur consci dei problemi reali che auspichiamo vengano almeno in parte trattati durante quella sorta di spettacolo circense-mediatico che è l'Expo milanese - una ricerca scientifica seria venga sviluppata in contrapposizione al fondamentalismo neo-malthusiano e nella consapevolezza che il "destino ( Geschick) della tecnica" come Gestell (imposizione che costringe) è necessariamente connesso alle capacità tecniche che il destino storico dell'umanità si è costruito con le proprie mani. Al di là dei risvolti culturali, senz'altro importantissimi, connessi al modo di alimentazione tipico degli esseri umani non mi vergogno di ricordare come in tanta filmografia fantascientifica venga previsto un futuro, magari dai tratti distopici, in cui l'utilizzo di integratori alimentari e cibo sintetici permetterebbe, comunque, la sopravvivenza, in un futuro più o meno remoto, della nostra specie. Anche nella conclusione del suo articolo, infine, Rogoff dimostra la sua abilità nell'esprimersi in maniera contraddittoria ma non dialettica:

La disuguaglianza, in senso proprio, viene percepita maggiormente in occidente dove le condizioni negli scorsi decenni garantivano alla gran massa un certo benessere; viceversa la povertà riguarda maggiormente le aree meno sviluppate del pianeta e gli strati inferiori dei paesi emergenti nei quali è ancora praticamente assente qualsiasi sistema di assistenza e sicurezza sociale. Se è vero, poi, che l'aiuto alle popolazioni in difficoltà direttamente nei loro luoghi di origine appare del tutto ragionevole ci rimane ancora difficile capire ( o forse no ?) questa contrapposizione secca, questo aut-aut , riguardo alla presa in considerazione dell'allargarsi delle differenze nelle condizioni di vita nei paesi di antico sviluppo e in quelli di più recente industrializzazione. Si tratta di criticità globali entrambi molto importanti e la presa in considerazione, ammantata da un "moralismo" assolutamente fuori luogo, di una sola di essa ci appare politicamente ed ideologicamente molto sospetta.


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