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Ritorno

Da Parolesemplici

Camminava per le strade di Bari, vicino al politecnico. In mano due buste della spesa. Dentro, una sottomarca di cola, una sottomarca di pasta, una sottomarca di biscotti spolverati allo zucchero a velo (ogni tanto uno sfizio ci vuole). Altre sottomarche.

Si fermò vicino ad un manifesto. Lesse il nome dell’ospite alla grande discoteca del sud barese. Si ricordò di lui alle origini, quando, nuovo ingresso nella scuderia, si presentò timido nella sua megavilla con due piscine a forma di stella (motivo ricorrente nella sua vita) e fiore (dovuto al suo grande romanticismo).

Glielo presentarono, lui lo guardò, e dopo le solite domande di circostanza, andò subito al cuore della questione.

“Che sai fare, France’?”

“Eh, io so cantare, ho fatto un corso di recitazione e…”

“Si vabbè. Che esperienze hai?”

“Nessuna al momento… speravo che tu mi potessi insegnare qualcosa sulla…”

“Dai France’ tranquillo ho capito, un reality te lo troviamo, vediamo un bel reality e se poi vai bene si può pensare anche ad altro. Adesso vai a metterti sulla poltrona vicino a lei” disse indicando la tettona extra-large, ultimo acquisto della sua scuderia  che stava facendo faville e che era addirittura riuscita ad entrare nella fiction di punta del primo canale. Lui gli sembrò quasi entusiasta. Non vedeva l’ora di gettarsi tra le braccia di lei.

Ritorno
Ma mentre si ricordò il momento in cui lei gli stampò un caloroso bacio sulla guancia facendolo arrossire, si ritrovò quasi per caso alle otto meno un quarto di sera in una via strabordante traffico. E doveva ancora fare due chilometri per arrivare al monolocale, accendere il fornetto e vedere Ciao Darwin. Da solo.

Il pensiero di camminare fin là dopo una giornata di stancante lavoro lo uccideva. Cioè, uccideva un morto.

Perché lui da quando era uscito dal carcere era un morto. Un uomo che camminava e mangiava senza sapere il motivo.

Erano passati due mesi da quel giorno che lui riteneva il giorno della rinascita ed era cambiato tutto.

Gli promisero, prima di entrare in carcere, che alla sua uscita lo avrebbero aiutato tutti. Non lo avrebbero mica lasciato così. E lui ci aveva creduto. Si immaginava già al suo ritorno. Avrebbero sicuramente organizzato una bella festa con donnine e donnini in Sardegna, che lui amava tantissimo, vino, trenini e qualche inviato di giornaletti da dentista che lo avrebbe riconsegnato al suo posto reale, cioè quello della crema, non in mezzo agli inutili che si sbattono per una vita per non avere niente.

Purtroppo, dopo una settimana di visite incessanti dei vari membri della sua ex scuderia, le persone che venivano a trovarlo lo abbandonarono. Non improvvisamente, però in maniera comunque traumatica. Il loro numero si esaurì, si ridusse gradualmente fino a quando un giorno, se lo sarebbe ricordato finchè campava (e non era roba di molto), non c’era nessuno all’ora di visita. Nei giorni seguenti venne qualcun altro, e lui rimproverò questi ultimi visitatori superstiti, ma poi i giorni in cui rimaneva totalmente solo si moltiplicarono. Finchè divennero la prassi.

Il suo avvocato, quello famoso che aveva tirato fuori i peggiori avanzi dell’umanità rimasti coinvolti nello scandalo della droga e della prostituzione, lo abbandonò in appello. Gli toccò il legale d’ufficio che riuscì a fargli ottenere solo 3 anni.

Aprì la porta. Accese l’interruttore e la lampadina che penzolava sul tavolo si illuminò. Appoggiò le buste sul tavolo e mise i bastoncini in padella.

Quindi accese la tv. Aspettò con devozione la trasmissione mentre la padella sfrigolava, e lui ogni tanto si alzava e girava i bastoncini.

Al suono della sigla, si accomodò di nuovo sul divano. Con una mano sul telecomando, spinse a fondo il tasto del volume. Si accorse di avere le guance umide, e tirò su col naso.


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