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Parole, parole, parole e ancora parole.
Parole che escono veloci e rapide, aiutate dal vino e dal rum che si beve in abbondanza.
Parole sussurrate piene di emozioni, in una serata che volge alla nostalgia.
Parole urlate, con la rabbia repressa per anni, con l'ira e il bisogno di sfogarsi che si fanno impellenti, accusando, rimpiangendo.
Parole che vanno a ricordare momenti belli, e momenti brutti, un passato che non sembra nemmeno troppo lontano ma che ormai è scivolato via, lasciando rughe e rimpianti, lasciando conti in sospeso che forse è il momento di pagare.
La sceneggiatura di Ritorno a L'Avana (personale Leone di Caffè a Venezia 71 e vincitore delle Giornate degli Autori), è fatta di tante, davvero tante parole.
Le parole che 5 amici si lasciano uscire, sussurrano e urlano in una notte intera in cui dopo 16 si ritrovano tutti assieme, a festeggiare il ritorno dell'amico prodigo fuggito o esiliatosi in Europa.
In questa notte, su questa terrazza, si lasciano andare alla nostalgia della loro gioventù, che ha lasciato il posto a rughe, sì, ma anche a scelte di vita diverse da quanto loro stessi potevano immaginare, con le promesse che una rivoluzione aveva loro fatto andate in fumo, come ogni loro speranza di cambiamento.
Il gruppo di scalmanati in piena epoca castrista, si è trasformato in un manipolo di uomini (e donna) di mezza età, alle prese con una famiglia che si disgrega, con i soldi che non bastano, con l'ispirazione artistica che non bussa più, con i compromessi a cui si è scesi per fare la bella vita.
E poi c'è Armando, che tornato nella sua città natale ritrova vecchi amici pieni di rancore e di invidia nei suoi confronti, che non capiscono la sua decisione di tornare, e nemmeno quella di 16 anni prima di partire, senza nemmeno un saluto.
Un Ulisse che torna alla sua Itaca, come suggerisce il titolo originale, da noi chissà perchè cambiato.
In questa notte, in cui vino, rum e cibo scorrono senza sosta, le parole li legano, i discorsi, i chiarimenti non mancano, e i nodi da sciogliere verranno affrontati di petto.
L'ambientazione quasi unica in cui il film viene girato, in quella terrazza da cui si scende raramente, rappresenta così un palcoscenico dove sfilano foto ingiallite, quadri unici e vecchi libri e vecchi album, che risuonano portando con le loro note a serate spensierate e amori passionali, facendo riaffiorare momenti, attimi e ricordi di un passato che i giovani d'oggi non posso neanche lontanamente capire.
In questo palcoscenico, in questa terrazza che si anima dalla luce del tramonto a quella dell'alba (e il ricordo, vista la composizione e il peso della sceneggiatura, non può che non andare a Linklater), si muovono alla perfezione i 5 attori assoldati da Laurent Cantet, che danno vita a un dramma reale, a emozioni vere che proprio quelle parole scatenano.
La simbiosi con quanto raccontato sembra perfetta, e anche se quanto urlato o sussurrato si fa sempre più incalzante, l'attenzione non cala, e con questa i sentimenti, che fanno affiorare lacrime sincere sui volti di chi parla e di chi dal pubblico li ascolta.
L'amicizia, quella vera, vive ancora negli occhi di questi sopravvissuti, di questi giovani ormai cresciuti i cui sogni si sono infranti, ma che nel ritrovarsi, trovano finalmente risposte e certezze, ritrovano loro stessi nei cocci di una vita mai scoppiata, e la speranza che, forse, lo stare insieme possa dare un senso a quanto finora vissuto.
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