Magazine Atletica
Torno per la seconda volta in quest’amena località adiacente a Borgomanero, sede di molteplici gare organizzate da diverse associazioni sportive. Si tratta di percorrere circa dodici chilometri in sterrato, ove tratturi erbosi e in pendìo entrano ed escono dai boschi, particolarmente estesi in quella zona. Dislivello non eccessivo, ma è tutto un su e giù, con pochissimi chilometri veramente in piano. Qualche erta (sopratutto la prima, in asfalto, al quarto chilometro) porta addirittura a camminare.
La partecipazione, è come al solito, numerosa (757 concorrenti in totale, compreso il minigiro, 430 circa della gara principale)
Mi piazzo in posizione avanzata, ma non troppo, e al via lascio scorrere le gambe, senza preoccuparmi dei tempi: sul mio gps ho da qualche tempo sostituito la visualizzazione del passo con quella della distanza e del tempo di percorrenza.
Lascio che le gambe adottino la velocità che più loro aggrada, senza tanti patemi: cerco la fluidità, anziché la velocità. Ed è strano: da un po’ di competizioni a questa parte mi sono reso conto che più cerco di frenarmi, più vado forte. Ho scoperto questa tecnica suonando il basso e la sto applicando con successo anche nelle corse. Nel basso, in certi riff in cui le dita devono volare sul manico, il cercare di suonare semplicemente note nel più breve tempo possibile non porta a risultati apprezzabili. Si può fare, ma alla fine l'esecuzione risulterà confusa ed imprecisa. Una volta che cerchi di frenarti scopri che quella velocità CE L'HAI GIA' DENTRO. Quello che importa è che le dita sappiano esattamente dove andare a posarsi. La velocità non è altro che è il risultato di tale consapevolezza. Ecco che, in competizione, la ricerca della naturalezza del gesto atletico, della fluidità, ti porta alla velocità come conseguenza.
Da metà gara in poi subentra un po’ di stanchezza psicologica: correre preoccupandosi di dove vanno a finire i piedi, per evitare radici affioranti (comunque segnate con intelligenza, in bianco, dagli organizzatori) o pietre alla fine logora. Durante un tratto in discesa il piede destro s’imbarca in una semi-storta, ma recupera in fretta senza strascichi. Il caldo si fa sentire, e ogni volta che il percorso ci porta dalla frescura dei boschi ai tratti en plein air, il caldo picchia sulla testa e annebbia le idee, già annebbiate dalla fatica. Negli ultimi chilometri, davanti a me, due donne si danno battaglia: il loro è un vicendevole sorpassarsi dove una bionda, primeggia nei tratti in salita e l'altra, bruna, più corpulenta e dalla corsa più mascolina, s'avvantaggia in quelli in pianura. M’inserisco nella lotta mio malgrado: abbiamo la stessa velocità e in quel momento vorrei essere la terza donna, ma solo per primeggiare, per una volta, nelle parti alte di una classifica.
Con un ultimo allungo termino la gara: 84esimo (responso di mamma Pina) e felicemente terzo delle donne.
La giornata si finisce con un pranzo da re (e che vini!) da Oliver e signora e con l'ottima compagnìa di Patty, Furio, Teo.
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