Ebbene sì, a fine aprile avevo bisogno di una piccola pausa e per ricaricarmi ho fatto un breve viaggio, che mi ha portato (o meglio ri-portato) al Cairo.
Sono passati quasi sette anni da quando ho lasciato Il Cairo, con il cuore gonfio di tristezza e tutti i passeggeri del volo Malév Cairo-Budapest che mi vedevano piangere nel mio posto lato finestrino per favore e non capivano, sette anni da quando sono partita definitivamente e per l’ultima volta. Sette anni senza contare quel paio di transiti sulla Desert Road in direzione Alessandria e quella sera in cui ci siamo ricongiunte per il concerto di Mohammed Mounir all’Opera. Sarebbero cinque anni, ma ne sono comunque sette nella mia mente.
Sette anni che non mi perdo più nei corridoi burocratici della Mogamma’ per un kafkiano rinnovo del visto di residenza, sette anni che non vengo importunata da qualcuno che per la strada mi urla moza, sette anni che non torno a casa la sera sporca di polvere e puzzolente di gas di scarico, sette anni che non mangio foul per colazione e koshari per pranzo cena e spuntino di mezzanotte, sette anni che non mi imbambolo alla finestra ad ascoltare il canto del muezzin e contare le innumerevoli luci. Sette anni che la mia vita è addomesticata.
Sono partita con un amico che non era mai stato in Egitto prima, e che voleva assolutamente vedere le Piramidi di Giza e il Museo Egizio. Quindi, al nostro arrivo, di domenica mattina, dal nostro albergo siamo andati direttamente al museo, che si trova a Midan Tahrir.
Midan Tahrir ormai è diventata l’icona dell’Egitto, e del mondo arabo più in generale. È diventata un’icona della libertà. Tanto che la guida che ci ha accompagnato alle Piramidi, davanti alla Sfinge ci ha detto: “Questo è uno dei monumenti più conosciuti dell’Egitto, anche se forse adesso il più famoso di tutti è Midan Tahrir…”
Come l’ho trovata cambiata, Midan Tahrir, dopo la Rivoluzione del 2011! Avendo abitato per un po’ di tempo tra Wust el-Balad e Garden City, Midan Tahrir per me era il luogo dove esercitarmi ad attraversare la strada senza perdere l’uso di alcun arto, dove incontrare gli amici per uscire la sera (allora appuntamento davanti al KFC di Tahrir alle 8 egiziane), dove prendere la metropolitana o il taxi per andare nelle periferie, dove ogni tanto assistevo a qualche pestaggio della polizia ai danni dei manifestanti appartenenti al movimento Kefaya, e dove ho perso sette ore per rinnovare un banale visto.
Ora invece è un posto carico di vita, il cuore pulsante della città, dove la gente vive dorme litiga mangia discute urla prega balla muore. Tutto nello stesso giorno.
Una delle grandi arterie che si diramano da Midan Tahrir è Qasr el-Ayni, una delle strade più affluenti del Cairo, dove si trovano tutta una serie di palazzi di rilievo: il Maglis el-Shura e ilMaglis el-Shaab (rispettivamente il Senato e la Camera dei Deputati degli egiziani), il campus dell’American University in Cairo, e il più importante ospedale universitario del Paese, oltre a diversi ministeri, banche e ambasciate – oltre, in una traversa, la casa dove abitavo.
Volevo tornare a vederla – sapere chi ci abita ora e tutte queste cose nostalgiche qua – così ci siamo avviati lungo Qasr el-Ayni, che ormai sembra una vera e propria zona di guerra, con mura, checkpoint, filo spinato e soldati ovunque. Eppure, sempre con quell’aria fanfarona tipica della città, che sembra dire sardonicamente “Perché, non è una cosa assolutamente normale?“
Dio, io amo questa città!