Ritorno alla vita
di Wim Wenders
con James Franco, Charlotte Gainsbourg, Rachel McAdams
Germania/Canada/Francia/Svezia/Norvegia, 2015
genere, drammatico
durata, 118'
Per il ritorno al cinema di finzione, dopo i riconoscimenti di stima ricevuti per i documentari su Pina Bausch ("Pina") e Julio Ribeiro Salgado ("Il sale della terra") Wim Wenders sceglie di ripartire esattamente dallo stesso punto in cui si era interrotto il suo cammino ("Palermo Shooting",
girato in Italia nel 2008) , e cioè da un tipo di cinema che fa del
tempo e del suo divenire la discriminante capace di creare la cifra
estetica del suoi film, e, conseguentemente, di trasformare l'impianto
narrativo delle storie in un flusso ininterrotto di immagini e parole; e
ancora, passando sul piano dei contenuti il principale strumento di una
ricerca che non si ferma sulla soglia dei comportamenti ma ne analizza
le ragioni, arrivando a sondarle in quei territori dell'animo umano dove
essi hanno origine. Nel caso poi di "Ritorno alla vita", il suo nuovo
lavoro presentato in anteprima mondiale all'ultimo festival di Berlino,
dove il regista ha ricevuto il premio alla carriera, ci sembra che la
metodologia del regista sia diventata ancora più radicale nel diradare
tutti quegli appigli che normalmente danno modo allo spettatore di
metabolizzare le asperità di certo cinema d'autore. Wenders al contrario
rilancia le caratteristiche cinematografiche che hanno distinto le sue
opere più famose, risultando monacale, tanto nell'utilizzo dell'immagine
degli attori (da James Franco, in una parte che sembra fare il verso a
quelle assegnate agli attori dei suoi lavori, a Charlotte Gainsbourg, e
senza dimenticare Rachel McAdams), spogliati o quasi di ogni aspetto
riconducibile al loro essere parte integrante dello star system europeo e
hollywoodiano, quanto nel procedere del narrato, impostato su un serie
continuata di "falsi movimenti" che, nel minimalismo motorio presente
all'interno delle singole sequenze, impostate su una staticità che
riguarda tanto le figure umane che il paesaggio circostante, sembrano
rimandare contemporaneamente alle difficoltà dello scrittore Tomas
Eldan, romanziere di successo alle prese con una prolungata mancanza
d'ispirazione e alle conseguenze del senso di colpa scaturito dal fatto
di aver provocato, seppur in circostanze che non dipendono da lui, la
tragica morte di un bambino.
Assecondando la sceneggiatura
origjnale del norvegese Bjorn Olaf Johansen Wenders procede considerando
il binomio arte vita, legato alle premesse che danno vita alla crisi
del protagonista, in maniera simbiotica, e in un rapporto di dipendenza
reciproca che, nelle mani del regista, riesce a non essere irrispettoso
nei confronti del dolore provocato dalla perdita di una vita umana;
oltre a ribadire dal punto di vista teorico, come la creazione
artistica, almeno nelle espressioni più alte, non possa fare a meno
dell'urgenza derivata dal vissuto di un'esperienza personale e intima.
Considerando
poi che il "ritorno alla vita" del protagonista, e in sottordine della
madre e del fratello del bambino scomparso, si avvale di una fotografia -
di Benoit Debie - che nella perenne oscurità degli interni, sembra
voler raffigurare il baratro psicologico e il senso di morte che ne
pervade il tormentato calvario, non appare peregrina l'ipotesi che
Wenders utilizzi la storia del film per riflettervi la propria filosofia
esistenziale, impostata secondo i dettami di una religiosità (cristiana) che in "Ritorno alla vita", trova riscontro in una
concezione salvifica del dolore; implacabile, come quello che attanaglia
lo scrittore ma necessario per fare pace con i propri demoni. Come si
evince dagli sviluppi sentimentali e lavorativi di cui sarà oggetto la
vita del protagonista al termine del suo percorso d'espiazione. In
questo senso l'attitudine emotiva di Tomas, con il suo procedere
erratico e meditativo e le sue insoddisfazioni sentimentali fa si che
il film di Wenders stabilisca più di una similitudine con gli approdi
raggiunti dall'ultimo cinema del grande Terence Malick. Con meno
scioltezza e qualche lungaggine di troppo da parte del regista tedesco.
(pubblicata su ondacinema.it)