Fryderyk Chopin, Studio op. 25 n. 9 in sol bemolle maggiore,
Valentina Lisitsa.
«Le importava ben poco che quello fosse il ritratto musicale del violoncellista, la cosa più probabile è che le addotte somiglianze, tanto le effettive quanto le immaginate, se le fosse costruite lui stesso nella sua testa, quello che impressionava la morte era il fatto che le era parso di sentire in quei cinquantotto secondi di musica una trasposizione ritmica e melodica di ogni e qualsivoglia vita umana, normale o straordinaria, per la sua tragica brevità, per la sua intensità disperata, e anche per via di quell'accordo finale che era come un punto di sospensione lasciato nell'aria, nel vago, da qualche parte, come se, irrimediabilmente, fosse rimasto ancora qualcosa da dire.» José Saramago, Le intermittenze della morte, Einaudi, 2005, pp. 167-168