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Un film che non ha nulla da dire, ma lo dice maledettamente bene. Happy Family è un puro esercizio di stile firmato Gabriele Salvatores, il piacere del narrare anche senza avere una storia vera e sentita da raccontare. Che poi è quello che fa il protagonista del film Fabio De Luigi qui in versione pirandelliana: crea personaggi, inventa aneddoti, si fa viaggi mentali, inventa storie. E cosa c’è di più bello dell’inventare storie?
La piacevolezza della visione lascia comunque spazio a qualche riserva. In primis proprio il Fabio De Luigi, ottimo comico che non mi sembra sia, non ancora almeno, un attore vero. Troppo impostato e finto, persino per un film in cui tutto è esplicitamente fiction come questo.E poi Valeria Bilello: come vj di Mtv e AllMusic mi piaceva, ma pure lei come attrice deve ancora studiare parecchio; diciamo che per il momento è alle elementari, vediamo se arriva all’università o perlomeno al liceo. Intorno ai due imballati protagonisti della storia d’amore particolare qui presentata ci sono però per fortuna una serie di personaggi più o meno strambi e alcuni molto riusciti.
Diego Abatantuono di solito faccio fatica a sopportarlo ma qui dentro, con un piccolo ruolo da padre cannaiolo, mi è risultato decisamente simpatico. Poi c’è la parte teen, con il ragazzino effemminato che a 16 anni si vuole sposare con la fidanzatina emo prima di scoprirsi gay. C’è appunto la ragazzina emo combattuta sulla decisione di sposarsi. C’è un Fabrizio Bentivoglio invecchiatissimo e in perenne punto di morte. Ma il personaggio migliore è senz’altro la vecchina con l’Alzheimer: comicità allo stato puro. Da sola vale l’intera visione della pellicola. Altra protagonista del film: Milano, filmata in una maniera inedita e affascinante.Ah, dimenticavo: c’è anche Margherita Buy che tanto per cambiare fa la parte della nevrotica. Ma non si è stufata?
E poi qualche riserva anche per la colonna sonora, in un impeto da sindrome de Il laureato composta unicamente da pezzi di Simon & Garfunkel. Simon & Garfunkel? Come dice lo stesso De Luigi a inizio pellicola: “Sì, è musica che non ascolta più nessuno, me compreso. Però è l’unica musica che ho.” Alla fine risulta un sottofondo anche piacevole e serve a dare unità e compattezza a un film che altrimenti poteva risultare più confusionario, però un consulente musicale Salvatores, se proprio aveva finito i dischi, poteva anche prenderselo.
Gabriele Salvatore dopo Come Dio comanda si conferma un buon regista ma non si può considerare un vero e proprio Autore. Con la macchina da presa ci sa indubbiamente fare, però è come se gli mancasse la personalità, una sua visione del mondo. Conosce le tendenze del cinema contemporaneo ed è bravo a imitarle, come in questo ritratto di famiglia anomala alla Tenenbaum, però sembra decisamente come il suo protagonista/alter-ego De Luigi: un autore in cerca di autore.(voto 6,5)
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