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Rivoluzione copernicana dell’orientamento: la sfida è aperta

Creato il 24 febbraio 2016 da Propostalavoro @propostalavoro

English_-_Citizens'_Corner_debate_on_cutting_Europe's_youth_unemployment-_Mission_impossible-_(22759199280)«Choosy» (Fornero), «Bamboccioni» (Padoa Schioppa), «L'Italia peggiore» (Brunetta): quando si parla di lavoro, sui giovani italiani piovono le considerazioni più amare e disarmanti. E sono il fanalino di coda d'Europa: si impegnano in una formazione lontana dalla realtà, escono tardi dai percorsi scolastici e in attesa di professionalizzarsi affrontano stage senza sbocchi e lontani dai loro studi. Siamo il paese dei NEET. In Italia, l'orientamento è la politica del lavoro meno considerata e i risultati di questa trascuratezza si vedono tutti.

Ma nel 2014 c'è stata una rivoluzione. Con le Linee Guida ministeriali sull'orientamento ha iniziato a farsi strada un'idea con potenzialità dirompenti: fare dell'orientamento non solo una servizio alla persona, ma soprattutto una competenza della persona. Insegnare in altre parole ai ragazzi come orientarsi autonomamente, perché non dovessero dipendere dai consigli, spesso poco accorti, della famiglia o dai servizi per l'impiego.

Quindi orientamento come compentenza più che come servizio. L'idea è geniale. A patto di avere un sistema condiviso di certificazione delle competenze, un un mercato del lavoro dove scompaiono sempre più certezze e stabilità, preparare gli studenti ad essere più resistenti ed agili al cambiamento sembra essere più efficiente che aspettare di raccogliere NEET già adulti con programmi come Garanzia Giovani.

L'alternanza scuola-lavoro e la didattica laboratoriale giocheranno un ruolo chiave in questo scenario. La scuola abituerà se stessa e i suoi studenti a ragionare in ottica aziendale: obiettivi, tempi e risorse. Ma non solo. Grazie a questi contatti anticipati con il mondo del lavoro (il mondo del "veri problemi"), non esisterà più il trauma di restare spiazzati davanti al compito di compilare CV e sostenere colloqui di lavoro. Anzi, abituandosi a conoscere già dalla scuola le proprie competenze e le proprie potenzialità, i giovani si muoveranno sul mercato del lavoro più come professionisti che come neofiti smarriti, preda di stage ciclici e corsi di formazione che non portano da nessuna parte. 

C'è però una ricetta da seguire perché l'auto-orientamento sia una risorsa e non l'ennesima pasta scotta data in pasto ai giovani, e questi sono gli ingredienti:

  1. Fluidificare il ciclo dell'orientamento. Senza informazioni sull'offerta formativa delle scuole, nessuna azienda oserà cercare giovani da inserire in organico. Senza informazioni sulle competenze richieste dal sistema delle imprese nessuna scuola riuscirà a progettare percorsi di formazione coerenti col il proprio territorio. Bisogna mettere in contatto questi due mondi. Non è semplice, ma non è impossibile: una o più pubblicazioni dove le scuole si presentano alle imprese e le imprese si presentano alle scuole, una sorta di career book, è un buon fluidificatore per gli ingranaggi di questi meccanismi.
  2. Alternanza scuola-lavoro in ogni possibile forma, a patto che sia reale e non simulata. Mancano le aziende? Forse, ma non per questo mancherà l'alternanza. Proponiamo ai negozi di collaborare con la scuola per un servizio e-commerce, osiamo chiedere alla pasticceria di fronte se vuole far scrivere il bilancio agli studenti dell'istituto tecnico, sentiamo le associazioni di volontariato…ma non rinunciamo a far respirare, in alternanza, una ventata di realtà a ragazzi che vedranno in banchi e lavagne i loro unici doveri. Usiamo l'immaginazione: ad esempio gli artigiani fanno orientamento…a teatro.
  3. Valutazione condivisa da tutti. Come può un ragazzo accettare di essere valutato se non sa su cosa sarà valutato? Un'esperienza di contatto con il mondo del lavoro deve essere valutata, ma il metro di valutazione deve essere chiaro e leggibile per tutti: studenti, insegnanti e tutor aziendali. Le competenze valutate, in altre parole, non devono essere un mistero. Una best practice c'è già (vedi il Progetto IMO), ma in che direzione andrà la sua evoluzione?
  4. Competenze come obiettivi di apprendimento. Conoscere la grammatica italiana non è fondamentale. Importante è saper comunicare bene nella lingua italiana. Per comunicare meglio, un po' di grammatica non guasta. Per comunicare in modo ottimale, invece, la gramamtica è indispensabile. Ma l'obiettivo rimane sempre saper comunicare, non saper fare l'analisi logica. Si può imparare a comunicare anche facendo esperienze di vita vissuta, perché il punto non è la strada (studio o lavoro), ma il traguardo. E se la cosa funziona con una materia teorica come l'italiano, immaginate con competenze più pratiche…
  5. L'orientamento come una competenza. Conoscere se stessi, i propri limiti e le proprie potenzialità, cioè crearsi un'identità professionale, è il primo obiettivo di un percorso di istruzione. Poi viene il resto, conoscere il mercato di lavoro di riferimento, imparare a presentarsi sul mercato del lavoro, rispondere a candidature coerenti con la propria professionalità o completare la propria formazione…

Mai più disorientati, insomma. Questa la partita…chi gioca?

Simone Caroli


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