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Rivoluzione in Brasile

Da Unaltrosguardo @maurovillone
Gli scontri con la polizia. Foto: Luciana Whitaker Aikins

Gli scontri con la polizia. Foto: Luciana Whitaker Aikins

Il discorso di Dilma di qualche giorno fa a reti unificate risultava grottesco. Dopo anni passati a comportarsi come se il budget del governo e il Brasile fossero roba sua un dietrofront pietoso dettato dalla paura (più che motivata) di non poter gestire la situazione. Fino a pochi giorni fa osava sostenere che “i problemi sono risolti” e che “ora possiamo pensare alla crescita”. Tralasciamo per ora quello che viene considerato “crescita” (per lo più infelice) e vediamo i “problemi risolti”.

Lo stipendio minimo in Brasile è di circa 760 Reali. Ci sono diversi stipendi minimi in relazione all’occupazione. Ma quelli che guadagnano meno, e sono tanti, prendono 760 Reali, circa 250 euro al cambio attuale. Certamente con un potere di acquisto superiore, ma mica tanto e vediamo quanto. Il biglietto dell’autobus (la goccia che ha fatto traboccare il vaso) costa 3,20 Reali. 6,40 Reali al giorno, sempre che il bus da prendere sia solo uno, per 22 giorni lavorativi circa fa 140 Reali. Ne restano 620 per pagare affitti che, grazie alla “crescita” sono sempre più cari. Una baracca in favela può costare 350/400 Reali al mese. Ne restano 270 per tutte le altre spese e, ovviamente soprattutto, comprare da mangiare. Peccato che la spesa sia più cara che in Italia. Ovvero, se non si è almeno in due a portare a casa i soldi si rischia di non mangiare affatto tutti i giorni. È assolutamente comune che nelle favelas la corrente elettrica se la freghino l’un l’altro. Per fortuna esistono riso e fagioli, il piatto nazionale dei poveri, ma i fagioli stanno rincarando.

In sostanza questo significa che molti milioni di persone fanno, come li chiamava mia nonna, “i salti mortali” per tirare avanti. Le generali difficoltà economiche e di vita spiegano perché moltissima gente è ben disposta a offrire mano d’opera al narcotraffico e alla prostituzione. Si guadagna molto più in fretta. In pratica in poche ore quello che si fatica a tirare su in un mese con un lavoro onesto. La droga quindi è diffusissima, ma la coca costa molto, molto più cara del crack, la droga spazzatura dei poveracci. Un intruglio malefico di sintesi che non lascia scampo devasta e porta alla morte in pochi anni. Si sono formate bande di zombie che vanno a creare quelle che vengono chiamate cracolandie (che descrivo in questo mio articolo http://unaltrosguardo.wordpress.com/2013/01/08/gli-zombie-di-cracolandia/), inferni sulla terra, anticamere della morte. I bambini e i ragazzini prima di entrare nel narcotraffico e nella prostituzione si occupano di piccoli furti, assalti, rapine. Tutto questo avviene in periferie devastate senza capo né coda e piene di rifiuti.

Per “difendersi” da questa situazione i commercianti e i piccoli imprenditori hanno creato gli “squadroni della morte”. Bande improvvisate che condannano a morte bambini e ragazzi e regolarmente eseguono le condanne con esecuzioni per la strada.

Cracolandia. Foto: Mauro Villone

Cracolandia. Foto: Mauro Villone

A questi squadroni si affianca la milicia, una polizia clandestina di mercenari professionisti della violenza come militari, vigili del fuoco, poliziotti (ex o in servizio) che per fare pulizia uccidono. Le sparatorie di squadroni e milicia, insieme a quelle dei narcotrafficanti sono così consuete da aver creato un altro fenomeno, quello della “bala perdida”, la pallottola vagante che uccide di tanto in tanto, ma con una certa frequenza, ignari passanti.

Ma i problemi fondamentali li conoscono tutti. Il Brasile è, da qualche anno, protagonista di uno sviluppo economico senza precedenti, pieno di falle, di buchi, di punti oscuri. Sembra quasi una speculazione studiata a tavolino. C’è il petrolio è vero, ma i consumi forzati dal credito al consumo, dalle varie bolse (borse, cioè contributi a fondo perduto) per la famiglia, la scuola e via dicendo, sembra servano solo a riempire le strade di auto e le persone di paccottiglia. E soprattutto a tenere sotto anestesia i contribuenti. Sono ancora moltissimi, ma veramente moltissimi, a dormire per le strade a vagare seminudi nelle periferie, a farsi di crack e coca. Il narcotraffico in sudamerica è padrone e introdotto e radicato a tutti i livelli, specie negli stessi governi. Ne sa qualcosa chi si impegna senza riserve nelle ONG spesso osteggiate dalle amministrazioni istituzionali. Anche se ci sono altre ONG capaci di trovare i canali giusti per diventare dei veri e propri business della povertà. Ma basta andare a Rio o San Paolo o qualsiasi altra città e farsi un giro per le devastate periferie e nelle favelas per rendersi conto di cosa sto parlando. Di fronte a questa situazione il governo, come sappiamo, si preoccupa di lucidare vetrine per mondiali e Olimpiadi, persino oltremisura rispetto a come è stato fatto in passato in altri paesi. In poche parole i soldi di contribuenti in difficoltà vengono usati a profusione per stadi e infrastrutture che serviranno per un mesetto. Ma non basta. In questi spazi ho già avuto modo di parlare più volte degli sprechi brasiliani e dell’arroganza di questo governo corrotto. Uno dei problemi più seri è la diga di Belo Monte che devasta il territorio e le culture indie per produrre energia per i ricchi. Non si tratta solo di una faccenda brasiliana, le foreste sudamericane sono patrimonio dell’umanità. Altro problema, molto più ridotto, ma che la dice lunga sulla miopia dell’amministrazione di questo paese è la “Aldeia Maracanà”, di cui ho già parlato. Un antica costruzione destinata ad essere Museo della cultura india che Cabral, il corrotto governatore dello stato di Rio, vuole distruggere, usando violenza a profusione contro gli indios, per fare un parcheggio. Al di là del valore storico e umano non si capisce come non sia evidente a tutti come gli stessi indios siano una manna sul piano turistico-culturale per il paese. E via di questo passo.

In ultima analisi i manifestanti chiedono solo siano rispettati sacrosanti diritti di base e che i soldi vengano spesi seriamente non per i viaggetti della presidente e per gli stadi, ma per l’educazione, la salute, la sicurezza.

Nonostante tutto ciò il Brasile è ricco di un patrimonio umano, culturale e naturale meraviglioso. Ma tutto quello che è stato capace di fare il governo per il turismo è non aiutare le imprese serie che lavorano nel settore e devastare l’interessantissima cultura india, con il risultato di accontentarsi del turismo sessuale di maniaci italiani, tedeschi e di altri paesi che vengono ad approfittare della miseria delle bellissime ragazzine del nord-este e di altre aree del paese.

Che il potere dia alla testa in maniera addirittura misteriosa in Italia lo sappiamo bene. Che la rivoluzionaria Dilma, di cui è stata sventolata a destra e a sinistra la militanza in altri tempi, si vesta come una borghesotta di cattivo gusto e solo per venire in Italia dal Papa si sia portata dietro un codazzo che ha fatto spendere ai contribuenti un sacco di soldi è stato molto utile, insieme al resto, a far perdere la pazienza al popolo e a far montare la protesta. Il risultato, le manifestazioni che vediamo in questi giorni, non sarebbe stato possibile senza il contributo della rete. Si tratta di un movimento “sem liderança”, senza leadership, ma che sembra funzionare benissimo. Occorrerà vedere, al momento giusto, chi saranno i portavoce che potranno interloquire con lo spaventato potere.

Un momento delle manifestazioni. Foto: Mauro Villone

Un momento delle manifestazioni. Foto: Mauro Villone

D’altra parte se il Brasile, come crediamo tutti, potrà essere il paese del futuro di sicuro non lo sarà per questo governo miope, corrotto e dispotico, ma senza dubbio per il suo popolo che sta dando prova di grande coscienza sociale, serio e attento impegno politico dal basso, grandi capacità di relazioni pacifiche e profonda cultura.

Bene. Ora che i problemi sono “risolti” signora Dilma che ne dice di aprire gli occhi su quelle che sono le grandi vere potenzialità del suo paese e del suo meraviglioso popolo? Ma forse per lei è troppo tardi.



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