RNDM: il Puro Piacere di Suonare Insieme

Creato il 27 febbraio 2013 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Luca Di Leonforte 27 febbraio 2013

Più di una semplice jam session, meno di un capolavoro dei Pearl Jam. È questo Acts dei RNDM, primo album del supergruppo formato da Jeff Ament, Joseph Arthur e Richard Stuverud. È sempre un gran piacere quando dei musicisti affermati si mettono in gioco e collaborano insieme mescolando i loro stili musicali, fondendo passione e sperimentazione e aggiungendo una sana e piacevole dose di divertimento. È in questi casi che si ha la conferma che la musica, spesso spacciata come mero prodotto commerciale, è ancora per qualcuno un gioco, un modo per comunicare, per stare insieme. Il progetto dei RNDM è apprezzabilissimo se si guarda sotto quest’ottica. Ricorda un po’ quando da ragazzi si inizia a strimpellare qualche strumento e con gli amici ci si riunisce per suonare insieme senza saper minimamente da dove cominciare, ma solo per il piacere di sentire gli strumenti fondersi in un unico suono (che in quei casi spesso era rumore). Ovviamente non è da confondere Acts con i caotici esperimenti giovanili, ma la volontà di fondo è la stessa: fare musica e farla in gruppo. Tanti sono gli indizi che confermano questa tesi. Per prima cosa il nome della formazione e il titolo dell’album: RNDM (da leggere Random) e Acts in realtà sarebbero da leggere come un tutt’uno e il risultato è Random Act, vale a dire “atto casuale”, “perfomance spontanea”. In secondo luogo le modalità e i tempi di realizzazione: il disco è stato inciso in soli quattro giorni nella sala di registrazione privata di Jeff Ament, nel Montana. E infine, le atmosfere di tutte le dodici tracce: nonostante la diversità sostanziale delle canzoni, ciò che si sente in tutto l’album è il sound tipico delle jam session, senza troppi convenevoli, scarno, a volte anche duro ma impulsivo e immediato. Nome del gruppo, titolo dell’album, registrazione e sound, tutte componenti che vanno nella stessa direzione, quella del piacere di ritrovarsi e fare musica da parte di musicisti con una propria storia e una propria cifra stilistica.

Jeff Ament è l’ideatore e il componente più famoso del trio. Bassista e fondatore dei Pearl Jam, Ament non è nuovo a progetti personali fuori dalla band di Seattle: in passato ha formato i Three Fish che hanno visto diverse collaborazioni celebri. Joseph Arthur è un cantautore americano vecchio stampo. È stato scoperto nel 1996 da Peter Gabriel che lo invitò a partecipare ad un’audizione in un night club newyorkese. Anche Arthur ha già alle spalle esperienze con supergruppi: nel 2010, infatti, forma un trio con Dhani Harrison (figlio di George Harrison) e Ben Harper dal nome Fistful of Mercy. Richard Stuverud è un apprezzato batterista di Seattle che aveva già in passato collaborato con Jeff Ament nei Three Fish. È proprio durante un concerto del 1999 dei Three Fish aperto da Joseph Arthur che i tre musicisti si conoscono e imparano ad apprezzarsi, fino ad arrivare alla recente idea di incidere un disco. Acts è un album che racchiude diverse tendenze dell’american rock degli ultimi decenni. L’impronta più importante è senza dubbio quella di Ament, ma nonostante questo il disco risulta essere più lontano di quanto si possa pensare dalla produzione dei Pearl Jam: cosa non facile data la collaborazione di Brett Eliason, storico produttore della band di Seattle.

C’è il ritmo e i riff di Look Out! e Throw You to the Pack, c’è il pop di The Disappearing Ones, ci sono le atmosfere tetre di Walking Through New York, c’è la malinconica di Williamsburg e c’è What You Can’t Control che ricorda lo stile dei primi U2. E poi la voce profonda e la straordinaria espressività di Arthur, il tipico basso caldo di Ament e i ritmi sempre presenti di Stuverud. Il disco potrebbe però deludere chi si aspetta di ritrovarvi lo stile dei Pearl Jam: l’impronta della band è a tratti riconoscibile ma nel totale manca il talento e l’imprevedibilità di Eddie Vedder. Nel complesso Acts risulta essere, comunque, piacevole all’ascolto e le canzoni scorrono via senza intoppi dalla prima all’ultima traccia. Il difetto è che a ben vedere i RNDM non portano nulla di nuovo nel panorama musicale americano: si limitano (se così si può dire) a fare della buona, buonissima musica, ma è la buonissima musica che altri buonissimi musicisti fanno da tempo e faranno ancora per molto. Insomma, questo è Acts. In futuro sapremo se è stato solo una parentesi nella carriera dei tre o se il progetto darà vita a nuovi e magari più innovativi lavori: spesso dalle giovanili riunioni tra aspiranti musicisti ne è venuto fuori solo un chiassoso pomeriggio, altre volte sono nate band che poi hanno fatto la storia del rock.


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