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Roald Dahl: Genesi e catastrofe.

Da Blogdispiccioli @blogdispiccioli
Roald Dahl: Genesi e catastrofe.

Roald Dahl, Genesi e catastrofe: una storia vera. 

Tratto da Storie ancora più impreviste 
(TEA Edizioni, traduzione Attilio Veraldi).  

«È tutto normale», stava dicendo il dottore. «Ora si rilassi.» La sua voce risuonava a miglia di distanza e alla donna sembrava che urlasse. «È un maschietto.» «Cosa?» «Ha avuto un bel maschio. Capisce, vero? Un bel maschio. L'ha sentito piangere?» «Sta bene, dottore?» «Certo che sta bene.» «La prego, me lo faccia vedere.» «Lo vedrà tra un istante.» «È sicuro che sta bene?» «Sicurissimo.» «Sta ancora piangendo?» «Ora provi a riposare. Non ha motivo di preoccuparsi.» «Perché ha smesso di piangere, dottore? Cos'è successo?» «Non si agiti, per cortesia. Va tutto bene.» «Voglio vederlo. La prego, me lo faccia vedere.» «Mia cara signora», disse il dottore, battendole sul dorso della mano. «Ha avuto un bel maschio sano e forte. Non mi crede?» «Cosa gli sta facendo quella donna di là?» «Lo sta facendo bello per lei», rispose il dottore. «Lo laviamo, tutto qui. Deve concederci ancora qualche altro istante.» «Lei giura che sta bene?» «Lo giuro. Ora si rilassi e riposi. Chiuda gli occhi. Avanti, su, da brava, chiuda gli occhi. Bene. Così va meglio. Brava...» «Ho pregato tanto perché viva, dottore.» «Certo che vivrà. Cosa sta dicendo?» «Gli altri no, non ce l'hanno fatta.» «Cosa?» «Nessuno degli altri miei figli è sopravvissuto, dottore.» Accanto al letto, il dottore guardava il volto pallido e stremato della giovane donna. Non l'aveva mai vista prima di quel giorno. Lei e il marito erano nuovi del posto. La moglie del locandiere, che lo aveva assistito durante il parto, gli aveva detto che il marito faceva il doganiere lì alla frontiera, e che i due s'erano presentati alla locanda con un baule e una valigia un tre mesi prima. Il marito era un ubriacone, aveva detto la moglie del locandiere, un piccolo ubriacone arrogante, prepotente e dispotico, mentre la giovane donna era invece mite e religiosa. E molto, molto triste. Non sorrideva mai. Nelle poche settimane che era stata lì lei, la moglie del locandiere, non l'aveva vista sorridere una sola volta. Aveva anche sentito dire che quello era il terzo matrimonio del marito, che la prima moglie era morta e la seconda aveva divorziato per motivi irripetibili. Ma erano solo voci. Il dottore si chinò e tirò un po' più su la coperta sul petto della paziente. «Non ha motivo di preoccuparsi», disse, con dolcezza. «È un bambino normalissimo.» «È esattamente quello che mi avevano detto anche degli altri tre. E invece li ho persi tutti, dottore. Negli ultimi diciotto mesi ho perso tutt'e tre i miei figli, quindi non me ne faccia una colpa se sono ansiosa.» «Tre?» «Questo è il mio quarto... In quattro anni.» Il dottore cambiò posizione, a disagio. «Non credo che lei sappia cosa significa veramente perderli tutti, dottore. Tre. A poco a poco, separatamente, uno per volta. Li ho sempre davanti agli occhi. Vedo il viso di Gustav, ora, in questo momento, come se fosse disteso qui accanto a me nel letto. Gustav era un bellissimo bambino, dottore, ma era sempre malato. È terribile quando sono sempre malati e non puoi far niente per aiutarli.» «Capisco.» La donna aprì gli occhi, guardò il dottore per qualche istante, quindi li richiuse. «La bambina si chiamava Ida. È morta pochi giorni prima di Natale. Appena quattro mesi fa. Vorrei che l'avesse vista, dottore.» «Ora ha un altro figlio.» «Ma Ida era molto bella.» «Sì. Capisco.» «Come può capire?» esclamò la donna. «Sono sicuro che era una bella bambina. Ma anche il suo ultimo figlio è molto bello.» Il dottore s'allontanò dal letto e andò alla finestra. Rimase lì a guardare fuori. Era un grigio, piovoso pomeriggio d'autunno e lì, di fronte, c'erano i tetti rossi delle case su cui cadevano grosse gocce di pioggia. «Ida aveva due anni, dottore... ed era così bella che ero incapace di staccarle gli occhi di dosso da quando la vestivo la mattina a quando la mettevo a letto la sera. Vivevo nel terrore che le succedesse qualcosa. Gustav se n'era già andato e il piccolo Otto anche, non m'era rimasta che lei. A volte m'alzavo la notte e in punta di piedi m'avvicinavo al lettino e le accostavo l'orecchio alla bocca per assicurarmi che ancora respirasse.» «Cerchi di riposare, ora», disse il dottore, avvicinandosi di nuovo al letto. «La scongiuro, cerchi di riposare.» Il viso della donna era pallido ed esangue, leggermente grigio intorno alle narici e alla bocca. Dalla fronte le pendevano alcune ciocche di capelli umidi, appiccicati alla pelle. «Quando è morta... Ero già incinta di nuovo quando è successo, dottore. Aspettavo quest'ultimo da ben quattro mesi quando Ida è morta. 'Non voglio!' ho gridato dopo il funerale. 'Non voglio! Ho già seppellito abbastanza figli!' E mio marito... s'aggirava tra gli ospiti con un grosso bicchiere di birra in mano... s'è voltato immediatamente e ha detto: 'Ho una notizia per te, Klara. Una buona notizia'. Se l'immagina, dottore? Abbiamo appena seppellito la terza dei nostri figli e lui se ne sta lì con un bicchiere di birra in mano e mi dice che ha una buona notizia. 'Oggi mi hanno trasferito a Braunau', dice, 'quindi puoi fare subito le valige. Sarà un buon inizio per te, Klara', dice. 'In un posto nuovo con un nuovo dottore...'» «Per piacere, non parli più.» «È lei il dottore nuovo, vero, dottore?» «Esatto.» «E siamo a Braunau?» «Sì.» «Ho paura, dottore.» «Non deve averne.» «Quante probabilità ha questo mio quarto figlio?» «Deve smettere di pensare a queste cose.» «Non posso, è più forte di me. Sono sicura che c'è qualcosa di ereditario che mi fa morire i figli in questo modo. Dev'esserci.» «Sciocchezze.» «Sa cosa mi disse mio marito quando nacque Otto, dottore? Entrò nella stanza, guardò nella culla dov'era Otto e disse: 'Perché tutti i miei figli devono essere così piccoli e gracili?'» «Sono sicuro che non disse così.» «Cacciò il capo proprio nella culla di Otto come se stesse esaminando un piccolo insetto e disse: 'Io dico solo perché non sono esemplari migliori? Solo questo dico'. E tre giorni dopo Otto era morto. Lo battezzammo subito, il terzo giorno, e lui morì la sera stessa. E poi morì Gustav. E poi ancora Ida. Morti, tutti loro, dottore... e all'improvviso la casa è rimasta vuota...» «Ora non ci pensi.» «È molto piccolo questo qui?» «È un bambino normale.» «Ma è piccolo?» «Forse è un po' piccolino. Ma spesso i piccoli sono molto più forti di quelli grandi e grossi. Pensi solo che tra un anno starà già imparando a camminare. Non è una bella prospettiva, Frau Hitler?» La donna non rispose. «E da qui a due anni starà già parlando come un matto, fino a stordirla con le sue chiacchiere. Avete già deciso il nome?» «Il nome?» «Sì.»

«Non lo so. Sono incerta. Mi pare che mio marito abbia detto che se era un maschio lo avremmo chiamato Adolfus.» «Il che significa che si chiamerà Adolf?» «Sì. A mio marito piace Adolf perché ha una certa similarità con Alois. Lui si chiama Alois.» «Benissimo.» «Oh, no!» esclamò la donna, sollevando di colpo la testa dal cuscino. «È la stessa domanda che mi fecero quando nacque Otto! Il che significa che morirà! Deve battezzarlo subito!» «Su, su», fece il dottore, prendendola gentilmente per le spalle. «Lei si sbaglia del tutto. Le assicuro che si sbaglia. Sono solo un vecchio curioso, tutto qui. E mi piace parlare dei nomi. Secondo me, Adolfus è proprio un bel nome. Uno dei miei preferiti. E poi... Eccolo che arriva.» Stringendo il neonato forte all'enorme seno, la moglie del locandiere avanzò nella stanza e s'avvicinò al letto. «Ecco il suo tesoruccio!» esclamò, con un gran sorriso. «Vuole prenderlo in braccio, mia cara? Glielo metto accanto?» «È ben coperto?» chiese il dottore. «Fa molto freddo qui dentro.» «Certo che è ben coperto.» Il neonato era completamente avvolto in uno scialle di lana bianca da cui sporgeva solo la testolina rosea. La moglie del locandiere lo adagiò con cautela sul letto accanto alla madre. 
«Ecco qui», disse. «Ora stia lì tranquilla e se lo guardi e ammiri fino a riempirsene gli occhi.» «Credo che le piacerà», disse il dottore, sorridendo. «È davvero un bel bambino.» «Ha delle mani bellissime», dichiarò la moglie del locandiere. «Con dita lunghe e delicate.» La madre non si mosse. Non girò neppure la testa per guardare. «Avanti, su», esclamò la moglie del locandiere. «Non la morde mica.» «Ho paura di guardare. Stento addirittura a credere che ho un altro figlio e che sta bene.» «Non faccia la stupida.» Lentamente, la madre girò il capo e guardò il faccino incredibilmente sereno sul cuscino accanto a lei. «È questo mio figlio?» «Certo.» «Oh... Oh... ma è bello!» Il dottore andò al tavolo e prese a rimettere le sue cose nella borsa. Nel letto, intanto, la madre contemplava il figlio e sorrideva, carezzandolo e dando in piccole esclamazioni di piacere. 
«Ciao, Adolfus», bisbigliava. «Ciao, piccolo Adolf...» «Ssst!» fece la moglie del locandiere. 
«Ascolti! Credo che stia arrivando suo marito.» Il dottore andò alla porta, l'aprì e guardò fuori nel corridoio. «Herr Hitler!» «Sì.» «Entri, prego.» Quasi in punta di piedi, nella stanza entrò un ometto in un'uniforme verde scuro. Si guardò intorno. «Congratulazioni», disse il dottore. «Ha avuto un maschio.» L'ometto aveva un paio di fedine enormi e curatissime all'imperatore Franz Josef e puzzava di birra. «Un maschio?» «Sì.» «Come sta?» «Bene. Anche sua moglie sta bene.» «Bene.» Il padre si girò e con uno strano passo saltellante s'avvicinò al letto dov'erano la moglie e il bambino. «Bene, Klara», disse, sorridendo tra le fedine. «Com'è andata?» S'abbassò per dare un'occhiata al bambino. Quindi s'abbassò ancora di più. Con una serie di piccoli movimenti scattanti, s'abbassò fino a portare il viso a pochi pollici dalla faccia del bambino. La moglie, con la testa sul cuscino, lo guardava di sbieco. Gli lanciava sguardi supplichevoli. «Ha un paio di polmoni che fanno paura», annunciò la moglie del locandiere. «Avrebbe dovuto sentirlo quando è venuto al mondo.» «Ma, Dio santo, Klara...» «Cosa c'è, caro?» «Questo qui è ancora più piccolo di Otto!» Rapido, il dottore fece un paio di passi avanti. «Quel bambino non ha niente», dichiarò. Lentamente, il marito si raddrizzò, s'allontanò dal letto e guardò il dottore. Sembrava meravigliato, colpito. «Non serve mentire, dottore», disse alla fine. «Lo so cosa significa. Ricominceremo tutto daccapo.» «Ora senta», fece il dottore. «Ma lo sa cosa è successo agli altri, dottore?» «Dimentichi gli altri, Herr Hitler. Dia a questo qui le sue possibilità.» «Ma è così piccolo e gracile.» «Mio caro signore, è appena nato.» «Ma lo stesso...» «Cosa vuol fare?» intervenne la moglie del locandiere, quasi gridando. «Convincerlo a morire subito?» «Basta così», disse il dottore, brusco. La madre stava piangendo. Era scossa da grandi singhiozzi. Il dottore s'avvicinò al marito e gli mise una mano sulla spalla. «Sia buono con sua moglie», bisbigliò. «La prego. È molto importante.» Quindi gli strinse forte la spalla e prese a spingerlo, a poco a poco, verso il letto. Il marito esitava. Il dottore strinse più forte la spalla, sollecitandolo. Alla fine, riluttante, il marito si chinò e posò un leggero bacio sulla guancia della moglie. «Bene, bene, Klara», disse. «Ora non piangere più.» «Ho pregato tanto perché viva, Alois.» «Sì, sì.» «Ogni giorno, per mesi, sono andata in chiesa a implorare in ginocchio perché a quest'ultimo sia concesso di vivere.» «Sì, Klara, lo so.» «La morte di tre figli è il massimo che posso sopportare, te ne rendi conto?» «Certo, certo.» «Adolf deve vivere, Alois, Deve, deve... Oh, Dio, sii misericordioso con lui...»
Roald Dahl: Genesi e catastrofe.

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