Robert Altman. Uno dei più grandi registi della cosiddetta Nuova Hollywood, un periodo che va dalla fine degli anni ’60 e la fine degli anni ’80, avrebbe compiuto oggi 90 anni.
Altman esordisce nella radio scrivendo le trame per i radiodrammi per poi passare alla televisione quando un certo Alfred Hitchcock gli offre di dirigere alcuni episodi della sua serie tv. È da qui che parte la sua carriera, non priva di problemi però, perché veniva cacciato sistematicamente da tutte le serie che girava per il suo spirito anticonformista e per le sue battute contro ogni tipo di istituzione (esercito, religione, politica). Quando decide però di mettersi alla regia, dirigendo “MASH” ispirato dall’omonimo libro di Hooker, arriva il successo internazionale, acclamato dalla critica e osannato dal pubblico, vincendo anche la Palma d’oro a Cannes nel 1970.
Solo cinque anni dopo, nel 1975, arriva la consacrazione. Diviene uno dei più grandi e influenti registi americani del 20° secolo, portando nelle sale “Nashville”. Anche questo film ha un successo planetario, vincendo anche l’Oscar alla migliore canzone originale: la bellissima “I’m easy” del sorprendente Keith Carradine. È un affresco fatto di immagini, una carrellata ironica con punte di satira ad una certa America, quella parte che faceva del linguaggio spettacolare il proprio motto, dai politici pregni di retorica ai più stralunati ideologisti dell’epoca.
Nashville è una tranquilla cittadina americana che però ha l’onore e l’onere di ospitare un evento musicale country di cinque giorni, organizzato per sostenere la candidatura del Deputato Hal Phillip Walker alle Presidenziali. Altman ci presenta ben 24 personaggi e la sua grandezza sta nel raccontarceli senza tralasciare le proprie sfumature caratteriali ma senza indugiare troppo su un’analisi approfondita. A questo evento partecipano i più noti musicisti country del momento (ovviamente inventati) e questo attira una folla enorme di persone desiderose di ascoltare della tipica musica del Sud. Seguiamo la storia dei protagonisti in ordine cronologico ma con una struttura narrativa aperta in modo da lasciare campo aperto ad una storia corale. Vediamo l’affascinante a famoso cantante Tom Frank (Keith Carradine), la reporter della BBC Opal (Geraldine Chaplin) fino alla stella del country Barbara Jean (Ronee Blakley). Proprio quest’ultima sarà l’emblema del discorso altmaniano, rappresentando in sé le debolezze, le pulsioni di una vecchia società e le ansie di una nazione sull’orlo di una crisi di nervi. Sarà la vittima sacrificale dello show business, una sorta di Vergine Maria tra l’indifferenza generale e l’ossessione per il proseguimento dello spettacolo: una “semplice” morte non può fermare lo spettacolo, The Show Must go on! Il microfono arriva a Albuquerque una donna continuamente in fuga dal marito, sintetizzando il tutto con la canzone “Don’t worry me” (Io non me la prendo) che dopo pochissimo tempo viene cantata anche da tutto il pubblico, incurante dell’incidente accaduto.
Un mosaico umano di chiara lucidità su un momento assolutamente confuso degli Stati Uniti. Non è un semplice musical, ma un film epocale. Una fotografia in movimento che riesce a catturare tutta la falsità e l’ipocrisia di una nazione, attraverso gli strumenti tanto cari al regista: la caustica ironia e l’assoluta noncuranza verso il perbenismo. Altman avrà tanti altri successi come “I protagonisti” o “America oggi”, ma questo film riesce ad essere un folgorante dramma in divenire, distruggendo il sogno americano e mostrandoci il ventre molle del post ’68. Nel 1992, “Nashville” è stato scelto per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti mentre nel 2007 l’American Film Institute l’ha inserito al cinquantanovesimo posto della classifica dei cento migliori film americani di tutti i tempi.
Alessio Lacava