Queste parloe le scriveva Alex Voglino nel 1991, nell’introduzione a Waylander, dei Drenai di David Gemmell, e io vi avviso fin da subito che stavolta sarò molto dispersiva. Chi mi conosce sa quanto io riesca a perdere il filo anche quando provo a restare in tema, perciò stavolta ritenetevi avvisati…
Voglino, che per anni ha curato la Fantacollana della casa editrice Nord, scriveva anche le introduzioni ai libri che pubblicava, e per me quelle introduzioni non erano meno affascinanti dei romanzi. Io il fantasy lo stavo scoprendo proprio con quei libri, così quei testi di due-tre pagine erano la mia porta d’ingresso per quel mondo. Mi mostravano archetipi ed elementi ricorrenti, o mi segnalavano autori importanti che non conoscevo. Sono stati i miei primi saggi sul fantasy, le prime fonti d’informazione in un periodo abbondantemente pre-internet in cui era difficile sapere cosa scrivevano gli autori, e cosa aveva scritto chi c’era stato prima di loro.
Avendo iniziato con L’incantesimo dei druidi Cullyn l’ho visto meno. Aveva già superato le sue crisi, e il focus era su sua figlia Jill, che infatti ha catalizzato tutta la mia attenzione. E poi era una guerriera, protagonista di un libro pubblicato in inglese (mi riferisco a L’incantesimo dei druidi) nel 1987 e tradotto nel 1992. Questo giusto per chi pensa di aver fatto chissà quale novità scrivendo un fantasy incentrato su una protagonista femminile, e potrei citarne molte altre. Lo farò ma non ora, altrimenti le divagazioni diventano troppe pur per me e l’articolo lo pubblico fra una settimana invece che domani (ora, per voi che leggete). E quando sai già quel che avverrà, sai che Cullyn supererà il suo lato oscuro perché nel libro successivo non ne hai visto traccia, quando poi leggi La lama dei druidi non ne sei colpito più di tanto e magari ti chiedi perché l’autrice la tiri su per le lunghe invece di concentrarsi un po’ di più su Jill.
Ora attacco con la divagazione jordaniana. James Oliver Rigney Jr. un bel giorno ha deciso che era ora che la piantasse di rimandare continuamente la sua folgorante carriera da scrittore e si è messo a scrivere. Per una serie di motivi troppo lunga da spiegare qui il suo primo libro non è stato pubblicato, comunque intanto che lui scriveva ha conosciuto una certa Harrier McDougal, di cui si è innamorato. Lei era un editor di quelli bravi, e insieme hanno lavorato su alcuni suoi romanzi. Lui scriveva e lei lo aiutava a migliorarli, soprattutto tagliando tutto il superfluo. A un certo punto un amico di Harriet, tale Tom Doherty, fondatore di Tor Books, si è trovato nella necessità di pubblicare alcuni libri molto in ffretta. Aveva comprato i diritti per la pubblicazione di alcuni romanzi apocrifi incentrati su Conan il barbaro e doveva fare in fretta, almeno con il primo, se voleva cavalcare l’onda di notorietà che sarebbe arrivata di lì a poco con il già citato film. Harriet ha proposto il nome di James perché sapeva che lui era rapido a scrivere e perché le piacevano le sue storie, Tom ha approvato e a quel punto si è solo trattato di convincere in semi sconosciuto scrittore. Due settimane per scrivere Conan l’invincibile, e per l’occasione c’è stata anche la scelta dello pseudonimo di Robert Jordan per i suoi romanzi fantasy.
L’Occhio del Mondo è arrivato per la prima volta in Italia nel 1992. Io l’ho letto e amato subito, così come i due seguiti, La grande caccia e Il Drago rinato. Dopo tre volumi, per motivi che ho già spiegato altrove, Mondadori ha sospeso la pubblicazione. Ovvio che quando Fanucci alcuni anni dopo ha pubblicato un libro di un autore che già amavo io lo abbia comprato e letto. Mi è piaciuto a metà, c’erano alcune cose interessanti o coinvolgenti, ma non sono una grande fan di Conan. Non riesco proprio a mandare giù il personaggio. Così per un bel pezzo ho ignorato completamente Howard, anche se chissà quando nelle mie letture mi sono imbattuta in un’antologia che conteneva due racconti suoi. Uno l’ho trovato abbastanza carino, l’altro mi è piaciuto parecchio e così ho iniziato a chiedermi se non fosse il caso di dare un’altra possibilità a Howard.
Io ho comprato l’edizione Newton Compton, l’ho messa su uno scaffale e l’ho ignorata. Perché ho scelto di risparmiare? Perché non mi era piaciuto il libro di Conan e non volevo spentere troppi soldi con Howard perché non ero affatto sicura che mi piacesse, anche se il personaggio mi affascinava. Chissà se nella mia mente c’erano pure le parole di quell’introduzione di Voglino? Se ora l’ho ritrovata è perché la ricordavo, quindi magari la ricordavo pure allora. Comunque quando comprate un libro se potete non pensate solo al risparmio.
Torniamo a Solomon Kane, comprato e parcheggiato su uno scaffale in attesa di tempi migliori.
Avete guardato la data della recensione che ho linkato? Scommetto di no. 2 giugno 2011. Io so dov’ero quel giorno, e non mi capita spesso di sapere cosa stavo facendo un giorno ben preciso a distanza di così tanto tempo. Era il primo giorno dei Delos Days dell’edizione 2011, quello delle presentazioni di Tanya Huff e Barbara Baraldi.
Il libro di Howard mi è piaciuto davvero, e questo ha reso più interessante la futura lettura di Solomon Kane, anche se prima di prenderlo davvero in mano ho aspettato parecchio.
Ora l’ho fatto, e ho scoperto che per me il tempo di questo libro è passato.
Il primo racconto incentrato su Solomon Kane è del 1928. Howard si è suicidato nel 1936. È questo l’arco di tempo che ha visto nascere le storie contenute in quest’antologia. Davvero tanto tempo fa. Gli anni ’30 sono il periodo in cui la Moore ha scritto i suoi racconti su Jirel di Joiry, e anche in quel caso avevo avvertito lo scorrere del tempo, anche se in modo meno marcato. La scrittura della Moore è più evocativa rispetto a quella di Howard. Leggendola, leggendo i due libri dedicati a Jirel e a Dark Agnes, ho visto l’evoluzione delle figure femminili di cui ho parlato su Effemme, ma la mia predilezione va alle figure più moderne. Alla Jill della Kerr, alle amazzoni di Marion Zimmer Bradley, a tante altre fanciulle che ho incotrato nei libri scritti dagli anni ’70 in poi. Il pozzo della luna di Abraham Merritt che avevo letto tanti anni prima mi ha dato la stessa impressione, quella del tempo trascorso. Il romanzo di Merritt è del 1919. È una tappa fondamentale nell’evoluzione del fantasy verso ciò che conosciamo noi, ma ora inevitabilmente sembra datato.
Se vogliamo essere onesti il trascorrere degli anni si sente pure con Il signore degli anelli di J.R.R. Tolkien. Non sto negando che sia un capolavoro, adoro quel romanzo e non dimenticherò ma quanto è stato importante per me e per le mie letture, ma se fosse stato scritto ora sarebbe molto diverso. I tolkieniani più convinti potrebbero non gradire quello che sto per scrivere, ogni tanto mi capita di leggere commenti di gente indignata che un qualsiasi scrittore fantasy possa essere accostato a Tolkien. Però nell’arte, in qualsiasi arte, ci sono cambiamenti. Si guadagna su qualche aspetto, si perde su qualcun altro, l’attenzione semplicemente si concentra su cose diverse. Parlando di forme artistiche diverse lo spiega molto bene Ernst H. Gombrich nell’introduzione alla sua Storia dell’arte. Il fatto che un artista più moderno raggiunga risultati straordinari non toglie nulla alla grandezza dell’artista più antico. Sono diversi e magari ugualmente grandi, tutto qui, anche se forse il più moderno ha imparato anche studiando il più antico.
Quanto è lunga la parte iniziale con una festa che dona perfettamente l’atmosfera della Contea ma che è ben diversa dall’abitudine attuale di iniziare le storie in media res? E davvero un editore ora non avrebbe nulla da ridire su tutte quelle canzoni in un libro che in fondo è d’avventura? Il prologo iniziale, con la storia dell’erba-pipa, sarebbe ancora stato ritenuto necessario? Lo stile stesso dello scrittore, il suo modo di usare le parole, è diverso da quello attuale. Per un romanzo scritto fra gli anni ’30 e gli anni ’40 è perfetto. Ora sarebbe ritenuto un po’ pesante e forse non troppo adatto la genere.
Io amo Il signore degli anelli, ma sento una distanza fra il suo tempo e il mio. Non l’ho sentita la prima volta che l’ho letto, e neppure la seconda, forse anche perché l’opera di Tolkien è stata la mia iniziazione al genere fantasy. Ora ho letto un bel po’ di cose successive, i libri sono cambiati e il mio gusto pure. Questo ogni tanto mi fa venire dei dubbi. Io amo La Ruota del Tempo. Reputo la saga di Jordan una delle più belle che abbia mai letto, anche se la mia ultima rilettura completa risale a qualche anno fa. Cinque, credo. Ma cosa può pensarne chi si accosta ai romanzi ora? L’inizio è volutamente tolkieniano, e con la profusione di pessima fantasy tolkieniana che c’è stata – Terry Brooks tutto sommato ha una sua dignità, ma ci sono stati pure gli imitatori scarsi di Brooks, e molti giovani lettori hanno letto Eragon di Christopher Paolini credendo che quel romanzo narrasse qualcosa di nuovo – quanto è facile per un lettore nuovo stancarsi pensando di aver già letto quella storia? Jordan non è certo un mostro di rapidità nell’introdurre la storia e i personaggi, anche se ci sono alcune scene d’azione davvero mozzafiato. Ma bisogna arrivarci a quelle scene, e non tutti lo fanno. E poi, dopo aver letto George R.R. Martin che ammazza personaggi a destra e a manca, vedere quelli di Jordan che muoiono con il contagocce non sembra un po’ inverosimile?
Per me La Ruota del Tempo è una saga fondamentale, ma io ho iniziato a leggerla nel 1992. Sono cresciuta con Jordan, e sono sentimentalmente legata a quei romanzi. Romanzi che mi hanno dato una quantità di emozioni incredibile. Quando ho incontrato Jordan gli ho anche chiesto se i suoi personaggi non avessero la vita un po’ troppo facile visto che non morivano. In realtà ne muoiono, anche di primo piano, ma non c’è la strage continua di Martin. Lui mi ha risposto che non riteneva fondamentale ammazzare i personaggi per avere tensione nella storia, e che anche donargli una vita che non gli piace poteva avere un impatto emotivo molto forte per il lettore. Vero, e ci sono ottimi motivi se lui ha fatto le scelte che ha fatto. Ho esplorato un po’ La Ruota del Tempo in un articolo che prima o poi riproporrò sul blog e che al momento potete leggere qui: http://www.fantasymagazine.it/approfondimenti/19563/robert-jordan-la-ruota-del-tempo/.
Per me Jordan è e rimane un gigante, anche se l’inizio dell’Occhio del Mondo a molto lettori può apparire lento, come lento può apparire l’inizio del Signore degli anelli. Questo non significa che le due opere non vadano lette. Ora sto rileggendo contemporaneamente ben due romanzi di David Eddings, e in questo caso sento che il tempo trascorso non gli ha fatto per niente bene. Non sono le sue opere più importanti, si tratta di Belgarath il mago e Polgara la maga, ma a suo tempo mi ero divertita. Chissà se anche la rilettura delle altre opere di Eddings si rivelerà in parte deludente, quando mi deciderò a farla. Non sempre capita. ogni volta che ho riletto i romanzi di Guy Gavriel Kay ne sono stata affascinata come la prima volta che li ho letti, e la Trilogia di Fionavar è della metà degli anni ’80 ed è decisamente tolkieniana.
E Solomon Kane? In fondo è da qui che sono partita anche se, come vi avevo avvisato, ho ampiamente divagato.
Amo Cullyn, anche se la mia attenzione è sempre stata su Jill. Amo ancora di più Jon Shannow. Leggendo Solomon Kane capisco perfettamente quello che intendeva Voglino: loro sono suoi discendenti. Però mi fermo qui, a circa un terzo del libro. Sono racconti, quindi non è che io stia lasciando incompiuta una storia che magari potrebbe anche migliorare. Ne ho letti diversi e ho visto lo stile di Howard. Kane è un personaggio solitario, che fa quello che pare a lui. Il mondo esterno non lo tocca, se non per il fatto che può decidere di fermarsi a portare giustizia. Lui comunque non cambia, non matura, non viene influenzato da nulla. Si sposta in luoghi che in teoria dovrebbero essere reali, più o meno l’ambientazione è storica, anche se il fantastico, spesso di tipo horrorifico, fa più che una sporadica apparizione. Non amo neppure questo tipo di fantastico, La mano destra del giudizio, il secondo racconto, è certamente forte, capisco l’impatto che può aver avuto sui lettori dell’epoca, ma non è quel che piace a me. Va bene leggere qualcosa d’epoca per capire come si è formata la narrativa attuale, ma penso che per me questo sia sufficiente. Il sentimento prevalente durante la lettura di questo libro è la noia visto che non riesco quasi mai a essere coinvolta. Sono distaccata, perciò mi stacco davvero dalle pagine con il libro che torna sulla libreria. Almeno ho capito di cosa si tratta.