Per il momento la prendo con calma, gli spoiler arrivano più avanti. 74 pagine di chiacchiere e quiete, nelle quali gli unici elementi preoccupanti sono un inverno un po’ troppo rigido, alcune voci lontane e un misterioso cavaliere dall’aspetto inquietante. Ora un inizio così sarebbe improponibile, un tale numero di pagine conterrebbe almeno un pericolo mortale, meglio se con qualcuno che la pelle ce la lascia sul serio, e una scena dal ritmo frenetico. Chi legge Robert Jordan ora, conoscendo le opere di altri autori che sono state pubblicate in seguito, lo può trovare terribilmente lento. Nel 1992 io ero affascinata, catturata irresistibilmente da quelle pagine del prologo contenente il dramma di Lews Therin Telamon, e decisamente curiosa di sapere cosa sarebbe accaduto a Rand. Sapevo già che La Ruota del Tempo sarebbe diventata una saga speciale? Non lo ricordo, è facile proiettare sul passato i sentimenti attuali, so che dopo aver terminato L’Occhio del Mondo ero convinta di aver letto un capolavoro, e negli anni non è intervenuto nessun fattore a farmi cambiare idea. All’epoca io e mio fratello minore leggevamo gli stessi libri. Ricordo di essere stata con lui in biblioteca e di aver preso in prestito tre libri, fra cui questo. Non ho idea di quali fossero gli altri due libri, evidentemente non hanno lasciato in me nessuna traccia particolare. E so di avergli chiesto – visto che io non potevo prenderne altri perché avevo già raggiunto il numero massimo di libri che era possibile prendere allo stesso momento – di prendere lui I giorni del potere di Colleen McCullough, che avevo visto e che mi attraeva irresistibilmente. Abbiamo letto contemporaneamente io Jordan e lui la McCullough, e durante la lettura continuavamo a dirci quanto fosse meraviglioso il libro che stavamo leggendo. Io non credevo che un altro libro potesse piacermi quanto quello che stavo leggendo al momento, anche se poi quando ce li siamo scambiati mi sono resa conto che almeno su un punto aveva ragione lui e che anche la McCullough era straordinaria.
Tanto per cambiare ho scritto una premessa lunga. Non so cosa potete pensare voi della Ruota del Tempo anche se presumo, se mi state leggendo, che vi piaccia. L’alternativa è che siate indecisi se leggerla o meno e vogliate farvene un’idea. Per gli standard di oggi il ritmo è lento, anche se per quelli del 1990 (anno in cui Robert Jordan ha pubblicato The Eye of the World) o per il 1992 (anno della prima traduzione italiana) non lo era. In fondo anche J.R.R. Tolkien inizia con il compleanno di Bilbo, Terry Brooks ci fa vedere Flick Ohmsford che torna a casa e David Eddings dedica numerose pagine al giovane Garion nella fattoria di Faldor. Il ritmo è lento, e Jordan non lo velocizzerà mai se non nelle scene concitate degli scontri, ci sono alcune ingenuità di cui parlerò quando le incontreremo e all’inizio la storia non sembra neppure particolarmente originale. Bisogna darle tempo, a meno di essere catturati all’istante come è successo a me non c’è altro modo per apprezzarla. Quello che c’è in queste pagine, e mi riferisco all’intera saga, è qualcosa di straordinario, anche se Jordan è lievemente descrittivo e si dilunga su ogni particolare che lo affascina. Ma non crediate, questa per lui è già sintesi.
Va bene, ora entro nel romanzo e qui cominciano gli spoiler.
Rand e Tam tornano alla fattoria. In realtà questo andare avanti e indietro non ha molto senso, se la gente va a Emond’s Field per la festa loro, che già sono lì, avrebbero fatto meglio a rimanervi. Jordan però dopo averci presentato i personaggi e le preoccupazioni locali voleva mostrare un Rand ingenuo e spaventato in azione da solo, e quindi ha dovuto isolarlo dagli altri. Rand e i suoi amici sono ingenui e non sono affatto preparati a quello che gli sta per capitare, e qui lo vediamo in pieno. Non intendo comunque riassumere tutti i romanzi, mi soffermo solo su alcuni elementi. Tam che possiede una spada di cui Rand non sapeva nulla. Si tratta, dalla descrizione, di una katana. Quando Donato Giancola ha realizzato una nuova copertina per la versione ebook di The Dragon Reborn stava dimenticando il dettaglio, per fortuna i suoi schizzi sono stati visti da Jason Denzel e Leigh Butler e la spada ha la forma giusta. Siamo troppo pignoli? Forse, ma anche questo è un segno di quanto siamo legati alla saga. Per la storia di quest’illustrazione potete guardare qui: http://www.tor.com/blogs/2009/12/the-dragon-reborn-ebook-cover-by-donato-giancola.
Un brevissimo accenno ai trascorsi di Tam c’è nel 13° capitolo (Come neve al vento) del Sentiero dei pugnali. Jordan aveva anche pensato di scrivere un prequel su Tam, ma purtroppo questa è una storia che non leggeremo mai. Peccato, perché questi primi cinque capitoli dell’Occhio del Mondo sono stati sufficienti a farmi amare Tam e a farmi desiderare di continuare a leggere di lui. Notevole visto che in genere le storie riguardano i giovani che crescono, fanno scoperte e compiono imprese eroiche. Jordan però è riuscito a rendere vivi, e a far amare, anche quei personaggi che in teoria le loro esperienze le avevano già vissute e che solitamente sono relegate nello sfondo.
Va bene, passiamo alla filosofia di Tam. Una spada non serve a niente. Con un arco si può andare a caccia e procurarsi il cibo, o difendersi dai predatori, ma una spada ha un unico scopo e quello scopo è – o dovrebbe essere – inutile. Arrivano i trolloc, e Rand è incredulo. Tam ha viaggiato, sa che esistono davvero, ma per il giovane sono solo elementi delle storie. Ricordiamoci quest’incredulità, e proviamo a confrontare il Rand attuale con quello che vedremo più avanti. Ho parlato della crescita dei personaggi qui http://librolandia.wordpress.com/2014/02/27/robert-jordan-la-ruota-del-tempo2/, ma ne riparlerò ancora. Rand scopre che le storie hanno un fondo di verità, sente parlare dei Fade e lotta per la vita. Se se la cava però è solo questione di fortuna, oltre che di determinazione.
In questo caso non intendo confrontare traduzione e originale come già ho fatto almeno in parte con Le cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R. Martin, ma questi continui errori mi stanno stancando.
Tocchi di colore: il cavaliere nero è decisamente tolkieniano, forse le percezioni che Rand ha su quelle creature gli derivano dall’essere chi è. Vengono citati miti, l’Avendesora, l’Uomo Verde, Ogier e Aiel, e non è necessario che mi soffermi sul brivido di piacere che mi dà leggere queste cose. Un intero mondo da esplorare, wow! E quando rileggo gli accenni acquistano un valore diverso, e il brivido viene centuplicato.
Tam delira, Rand inizia ad avere dubbi sulla sua identità, i due arrivano a Emond’s Field e io mi fermo qui perché ho già scritto fin troppo.